LE PORTE DI YGGDRASILL
Esoterismo e Magia
La magia nella cultura nordica
La magia è un insieme di credenze e tecniche che si pongono, come fine, il controllo degli elementi naturali e sovrannaturali dell’ambiente, per volgerli ai propri scopi. Se pensiamo alle credenze come ad un insieme di conoscenze il cui alone di mistero è alimentato dal fatto che la loro divulgazione avviene tramite una trasmissione orale, tra cui il valore dei nomi delle Rune e le tecniche come competenze pratiche nell’atto dell’incisione e della scrittura, ecco che le Rune possono essere accostate ai temi della magia.
La religione. Invece, di per sé dovrebbe escludere le pratiche magiche, in quanto tramite essa l’uomo si affida completamente alle divinità, ma nel mondo antico non era sempre così netta la distinzione.
Ad esempio, l’offerta di un sacrificio, elemento caratteristico dei culti religiosi, può anche essere intesa come una pratica magica, dal momento che ha lo scopo dichiarato di influenzare l’atteggiamento delle divinità nei confronti dell’uomo.
Una caratteristica tipica delle civiltà antiche è quella di attribuire alle divinità l’origine della scrittura come una diffusa interpretazione della mitologia germanica riconosce a Wotan (Odino) il merito dell’invenzione del Fuþark. In particolare, ciò che pone Odino in stretta correlazione con le rune è la sua totale padronanza della magia legata al loro utilizzo, acquisita in seguito ad un sacrificio iniziatico, dopo essersi immolato a se stesso, essendo rimasto appeso per nove notti all’albero cosmico, l’Yggdrasill.
Questo processo di iniziazione gli aveva consegnato, oltre alla conoscenza delle Rune, il possesso dei Galdr, canti magici che permettevano il controllo sul mondo.
Questi due elementi, le Rune e i Galdr, suggeriscono il sovrapporsi nella figura di Odino di cognizioni magiche di diversa natura.
Seppure le fonti che riguardano la pratica magica in epoca vichinga non consentano di definire in maniera precisa i contorni della materia è possibile, tuttavia, cogliere alcune distinzioni tra l’antica magia di tipo naturalistico (proveniente originariamente dal culto di Freyja) e quella legata al potere della parola e direttamente collegata alle incisioni runiche.
Il collegamento fra l’uso grafico e l’uso magico di questi segni sta nella loro qualità di simboli che concentrano la forza e richiamano il potere dell’elemento in essi rappresentato. La capacità di incidere le Rune diventa dunque capacità magica, manipolazione di entità ritenute potenti, in quanto evocatrici di forze sovrannaturali.
Nel quadro culturale dei popoli nordici, il concetto di magia è strettamente legato a quello di conoscenza del sovrannaturale e va ovviamente contestualizzato all’epoca medievale, tanto che a seguito della cristianizzazione, i codici delle leggi in Islanda e Norvegia imponevano pene estremamente severe per i casi che venivano riconosciuti come legati alla stregoneria.
La religione. Invece, di per sé dovrebbe escludere le pratiche magiche, in quanto tramite essa l’uomo si affida completamente alle divinità, ma nel mondo antico non era sempre così netta la distinzione.
Ad esempio, l’offerta di un sacrificio, elemento caratteristico dei culti religiosi, può anche essere intesa come una pratica magica, dal momento che ha lo scopo dichiarato di influenzare l’atteggiamento delle divinità nei confronti dell’uomo.
Una caratteristica tipica delle civiltà antiche è quella di attribuire alle divinità l’origine della scrittura come una diffusa interpretazione della mitologia germanica riconosce a Wotan (Odino) il merito dell’invenzione del Fuþark. In particolare, ciò che pone Odino in stretta correlazione con le rune è la sua totale padronanza della magia legata al loro utilizzo, acquisita in seguito ad un sacrificio iniziatico, dopo essersi immolato a se stesso, essendo rimasto appeso per nove notti all’albero cosmico, l’Yggdrasill.
Questo processo di iniziazione gli aveva consegnato, oltre alla conoscenza delle Rune, il possesso dei Galdr, canti magici che permettevano il controllo sul mondo.
Questi due elementi, le Rune e i Galdr, suggeriscono il sovrapporsi nella figura di Odino di cognizioni magiche di diversa natura.
Seppure le fonti che riguardano la pratica magica in epoca vichinga non consentano di definire in maniera precisa i contorni della materia è possibile, tuttavia, cogliere alcune distinzioni tra l’antica magia di tipo naturalistico (proveniente originariamente dal culto di Freyja) e quella legata al potere della parola e direttamente collegata alle incisioni runiche.
Il collegamento fra l’uso grafico e l’uso magico di questi segni sta nella loro qualità di simboli che concentrano la forza e richiamano il potere dell’elemento in essi rappresentato. La capacità di incidere le Rune diventa dunque capacità magica, manipolazione di entità ritenute potenti, in quanto evocatrici di forze sovrannaturali.
Nel quadro culturale dei popoli nordici, il concetto di magia è strettamente legato a quello di conoscenza del sovrannaturale e va ovviamente contestualizzato all’epoca medievale, tanto che a seguito della cristianizzazione, i codici delle leggi in Islanda e Norvegia imponevano pene estremamente severe per i casi che venivano riconosciuti come legati alla stregoneria.
La ruota dell'anno
Generalmente, la tradizione norrena basa il proprio calendario sulle quattro celebrazioni coincidenti con i due solstizi: miðsumarr, in estate e jolablót, in inverno e i due equinozi: haustblót, in autunno e várblót, in primavera.
Altri culti neopagani suddividono il calendario rituale in una serie di date più articolata, in relazione a festività di origine germanica o celtica, altre ancora si richiamano alla più moderna corrente Wicca. Questo calendario rituale prende il nome di Ruota dell’anno e scandisce le seguenti festività:
Altri culti neopagani suddividono il calendario rituale in una serie di date più articolata, in relazione a festività di origine germanica o celtica, altre ancora si richiamano alla più moderna corrente Wicca. Questo calendario rituale prende il nome di Ruota dell’anno e scandisce le seguenti festività:
31 gennaio / 1 febbario: Dísablót, festa delle Dísir, delle Norne e delle Valchirie (secondo il calendario islandese e si celebra la figura di Thor, protettore di Asgard e Midgard).
Nella tradizione celtica prende il nome di Imbolc. Questa festa, lasciandosi alle spalle il buio e freddo inverno, celebra il passaggio verso la luce, interpretabile come protezione e fecondità; nel primo caso il riferimento è l’omaggio a Thor e alle Valchirie, mentre il concetto di fecondità richiama la figura delle Dísir. La runa associata a questa festività è Algiz, in onore della forza protettrice delle valchirie.
20/21 marzo: Ostara (várblót), è la festa che celebra l’entra vera e propria nel periodo solare dell’anno, durante l’equinozio di primavera, in onore di alcune divinità del pantheon nordico e germanico, tra cui Frigg, Freyja, Iðunn e Njörðr. La runa di riferimento è Berkano, il cui nome è traducibile in Dea Betulla, in onore della Madre Terra.
30 aprile / 1 maggio: Walpurga, nella tradizione celtica Beltane, e si celebra tra l'equinozio di primavera ed il solstizio estivo, in onore delle nozze degli déi.
Il termine Walpurga è traducibile come “Recinto dei caduti”, quindi l’etimologia di questa festività riconduce al concetto di Walhalla e alla figura delle valchirie, il cui operare suggerisce che il concetto di ricongiungimento con gli dèi sia interpretabile come una sorta di rinascita. La runa di riferimento è Laguz, il cui nome è traducibile come corso d’acqua, intesa come fonte primordiale di vita e prosperità.
20/21 giugno: Miðsumarr, la festa di mezza estate, denominata Litha nella tradizione celtica-anglosassone. Durante il solstizio d’estate, rappresenta il trionfo della luce sul buio e celebra le figure di Baldr e Dagr, quest’ultimo della stirpe dei giganti, figlio di Nótt, personificazione della notte e di Dellingr, personificazione dell’alba. La runa associata a questa festività è Dagaz, il cui significato è associabile al concetto di giorno inteso come speculare alla notte, come passaggio infinito tra l’ascesa e la discesa del sole.
31 luglio / 1 agosto: Freyrblót, la festa del raccolto, nella tradizione celtica prende il nome di Lughnasadh. I simboli più importati di questa festività sono il grano, la spiga e il pane, inteso come nutrimento non solo materiale, ma anche spirituale, in omaggio a Freyr, quale difensori della ricchezza e della fertilità della terra. La runa di riferimento è Thurisaz, legata alla figura di Thor, guardiano di Midgard e difensore degli uomini.
20/21 settembre: l’Haustblót, nella tradizione celtica prende il nome di Mabon, è la festa dell’equinozio di autunno. In questo periodo dell’anno si celebrano i frutti del raccolto autunnale, nei boschi o in altri luoghi selvatici, dove si possono raccogliere piante secche, castagne e vari frutti tipici della stagione, in omaggio anche in questo caso. alle maggiori divinità del pantheon nordico, protettrici della fertilità della terra. La runa di riferimento è Kaun, il fuoco della torcia, il cui significato può essere associato alla ricerca di un fuoco interiore, domato in un percorso di iniziazione e di conoscenza.
31 ottobre / 1 novembre: Álfablót, la festa degli elfi, nella tradizione celtica prende il nome di Samhain, dalla quale deriva la più recente festa di Halloween. Questa ricorrenza apre la stagione invernale che troverà il suo culmine nel successivo solstizio di Yule. Si ricordano i defunti e antenati, celebrando le figure degli elfi (la cui etimologia deriva dalla radice indoeuropea “risplendere” o anche “essere bianco”), esseri sovrannaturali ai quali è attribuita una natura divina, accanto alle stirpi degli Æsir e dei Vanir.
Nella cultura nordica questa ricorrenza viene associata al Vetrnætr, una festa pagana di origine germanica, risalente al tardo medioevo. La runa di riferimento è Hagalaz, la grandine. Il suo significato può essere interpretato come rinascita: la grandine, essendo più pesante della pioggia, ha un’azione distruttiva, ma sciogliendosi diviene acqua, nutrimento di ogni forma di vita. Da qui il senso di rigenerazione dopo la morte.
20/21 dicembre: Yule, durante il solstizio d’inverno, nell’antica tradizione norrena prende il nome di Jól. Questa festività, contrariamente al fatto che si celebri in un mese invernale, inneggia il culto del sole, paragonabile al Sol Invictus dell’antica Roma o degli antichi imperi di Egitto e Siria.
La tradizione norrena festeggia le divinità solari di Sól (Sunna, in antica lingua norrena) e Baldr, a simboleggiare il ritorno della luce dopo che si è toccato il punto più profondo del buio invernale.
La runa di riferimento è Jera, la cui interpretazione può essere associata al ciclo del Sole, inteso come ciclo di vita. Il suo glifo rappresenta l’avvicendarsi ciclico delle stagioni, in cui il fuoco (estate) e il ghiaccio (inverno) non sono forze opposte, ma elementi complementari l’uno con l’altro, come una spirale in cui il compimento di ogni ciclo porta ad una crescita interiore.
È importante ricordare che la ricostruzione di questi calendari rituali e le loro relative festività possono risultare non corretti dal punto di vista prettamente storico, in quanto si basano su narrazioni provenienti da antichi testi alterati dal processo di conversione al cristianesimo. Inoltre, è opportuno considerare che il culto eteno non è dogmatico e si evolve nel tempo, in un costante adattamento delle antiche tradizioni per renderle più idonee ai tempi moderni.
I Luoghi Di Culto
A differenza delle popolazioni scandinave, dove le venerazioni delle divinità avvenivano all’interno di santuari o specifici luoghi di culto, come ad Uppsala, nel cuore della Svezia, i Germani non conoscevano il concetto di luogo stabilmente adibito al culto religioso, piuttosto preferivano celebrare i propri riti in ambienti naturali, considerati particolarmente sacri come boschi, alture, stagni o paludi.
A differenza delle popolazioni scandinave, dove le venerazioni delle divinità avvenivano all’interno di santuari o specifici luoghi di culto, come ad Uppsala, nel cuore della Svezia, i Germani non conoscevano il concetto di luogo stabilmente adibito al culto religioso, piuttosto preferivano celebrare i propri riti in ambienti naturali, considerati particolarmente sacri come boschi, alture, stagni o paludi.
Gli studi archeologici hanno mostrato l’esistenza di veri e propri luoghi di culto, fin dai tempi più antichi.
I siti danesi di Troldebjerg, nella parte meridionale dell’Isola di Langeland e di Tustrup, nello Jutland orientale, rappresentano evidenti testimonianze risalenti all’epoca preistorica.
Un altro sito danese, a Sandagergard, risale all’età del bronzo e la sua struttura caratterizzata da una serie di recinzioni, tra terrapieni e palizzate, ne suggerisce una destinazione non ad uso esclusivamente ritualistico, ma una predisposizione per attività quotidiane legate alla vita comunitaria.
Durante l’ultima fase del paganesimo nordico, risale la costruzione di veri e propri templi, spesso descritti nelle diverse saghe, soprattutto nelle fonti islandesi, mentre il più famoso resta il tempio eretto ad Uppsala, in Svezia.
Dall’Islanda provengono le descrizioni degli Hof, costruzioni spirate alle chiese della prima fase del processo di cristianizzazione e che a loro volta potrebbero aver ispirato le linee architettoniche delle Stavkirker, luoghi di culto in legno, di cui si hanno importanti esempi in Norvegia.
I toponimi legati ai luoghi di sacri scandinavi inducono a pensare che le diverse forme di culto, nonostante il processo di cristianizzazione a fine epoca vichinga, abbiamo sempre mantenuto una particolare concezione della natura, prediligendo luoghi come alture, fonti e cascate, boschi o cumuli di pietre. Questi ultimi, in particolare, in linea con l’antica tradizione nordica, riconducono alle concezioni magiche delle pietre, ma anche alla sepoltura degli antenati e al recinto di pietra in cui si svolgeva l’assemblea.
L’approccio religioso degli uomini del nord, nonostante il cui credo si era evoluto da concezioni strettamente naturalistiche, non si allontanò mai, nella sostanza, dalle proprie premesse, mantenendo al tempo stesso, forti influenze con le pratiche magiche e le credenze nel sovrannaturale.
In tal senso, ha avuto un ruolo molto importante il contatto con la cultura dei vicini popoli lapponi, in particolare il rapporto tra la pratica magica del Seidr, assai diffusa nella Scandinavia pagana e la magia tipica dei Finni e dei Lapponi.
I siti danesi di Troldebjerg, nella parte meridionale dell’Isola di Langeland e di Tustrup, nello Jutland orientale, rappresentano evidenti testimonianze risalenti all’epoca preistorica.
Un altro sito danese, a Sandagergard, risale all’età del bronzo e la sua struttura caratterizzata da una serie di recinzioni, tra terrapieni e palizzate, ne suggerisce una destinazione non ad uso esclusivamente ritualistico, ma una predisposizione per attività quotidiane legate alla vita comunitaria.
Durante l’ultima fase del paganesimo nordico, risale la costruzione di veri e propri templi, spesso descritti nelle diverse saghe, soprattutto nelle fonti islandesi, mentre il più famoso resta il tempio eretto ad Uppsala, in Svezia.
Dall’Islanda provengono le descrizioni degli Hof, costruzioni spirate alle chiese della prima fase del processo di cristianizzazione e che a loro volta potrebbero aver ispirato le linee architettoniche delle Stavkirker, luoghi di culto in legno, di cui si hanno importanti esempi in Norvegia.
I toponimi legati ai luoghi di sacri scandinavi inducono a pensare che le diverse forme di culto, nonostante il processo di cristianizzazione a fine epoca vichinga, abbiamo sempre mantenuto una particolare concezione della natura, prediligendo luoghi come alture, fonti e cascate, boschi o cumuli di pietre. Questi ultimi, in particolare, in linea con l’antica tradizione nordica, riconducono alle concezioni magiche delle pietre, ma anche alla sepoltura degli antenati e al recinto di pietra in cui si svolgeva l’assemblea.
L’approccio religioso degli uomini del nord, nonostante il cui credo si era evoluto da concezioni strettamente naturalistiche, non si allontanò mai, nella sostanza, dalle proprie premesse, mantenendo al tempo stesso, forti influenze con le pratiche magiche e le credenze nel sovrannaturale.
In tal senso, ha avuto un ruolo molto importante il contatto con la cultura dei vicini popoli lapponi, in particolare il rapporto tra la pratica magica del Seidr, assai diffusa nella Scandinavia pagana e la magia tipica dei Finni e dei Lapponi.
Pratiche magiche e sciamanesimo
La magia può essere definita la presunta arte di influenzare il corso degli eventi, attraverso un controllo occulto della natura o degli spiriti. A tal proposito, è importante ricordare quanto il destino, nella mitologia nordica, abbia un ruolo ben definito ed importante.
Nel corso del tempo, soprattutto in seguito al processo di cristianizzazione delle popolazioni considerate pagane, la magia ha acquisito una concezione negativa, in quanto poteva essere utilizzata per scopo malvagi. La religione, al contrario, si poneva come una giustificazione all’accadimento degli eventi.
Nelle religioni monoteiste questo approccio era ancora più marcato, dato che i poteri sovrannaturali potevano appartenere ad un solo dio, a discapito della magia che era considerata un sacrilegio. Inoltre, l’antica religione dei popoli norreni presenta elementi che possono essere interpretati secondo i canoni dell’evemerismo, teoria secondo la quale le divinità mitologiche sono eroi divenuti dèi a seguito di un processo di iniziazione e divinazione.
In entrambi i casi, sia che si parli di religione, sia che si parli di magia, alla base di queste credenze ci sono i rituali esercitati sulla base di determinati gesti simbolici. In questo contesto si distinguono tre diverse figure sulla base di due differenti prospettive, una collegata alla religione, l’altra connessa alla magia: il sacerdote, lo stregone, lo sciamano.
Il sacerdote, operante nella sfera religiosa, assume una veste a cui è associato l’elemento della purezza, in quanto è il tramite con l’ultraterreno e di conseguenza appare come l’esecutore di rituali collettivi finalizzati a celebrare ed evocare qualcosa di ignoto e sovrannaturale, ma allo stesso tempo assume il ruolo di custode della memoria storica di una specifica società. Il concetto di sacerdote, nel corso dei secoli, si è evoluto sempre di più da tutti quegli elementi che potessero in qualche modo associarlo alla figura di mago, fino a renderlo un “semplice” intermediario tra gli uomini e gli dèi.
Lo stregone pone le sue fondamenta sulla convinzione che il cosmo sia un tutto e il suo obbiettivo, solitamente, è quello di controllare e condizionare il destino, nel bene o nel male.
Infine, gli sciamani che, così come gli stregoni, sono visti con diffidenza e scetticismo se non addirittura paura. Proprio su questo elemento verte, invece, una differenza sostanziale, in quanto l’attività dello sciamano non è mai volta ad intenti malvagi, ma finalizzata al benessere della comunità di cui fa parte.
Lo sciamanesimo non è una religione e non ha un sistema di credenze proprio, ma è un insieme di attività volta a trovare l’equilibrio tra corpo, mente e spirito, in cui il rapporto con il sovrannaturale si evidenzia nel momento in cui lo sciamano entra in uno stato di trance, al fine di comunicare con gli spiriti.
Da quanto si apprende dalle fonti letterarie della mitologia nordica, lo sciamo non era solo una figura spirituale e di guaritore, ma era anche colui che traghettava le anime dei defunti nell’aldilà.
Una sua caratteristica era lo shapeshifting, cioè la capacità di tramutarsi in altri esseri, spesso animali, assumendone non solo i caratteri estetici, ma anche le caratteristiche comportamentali. Secondo le credenze dell’epoca, i guerrieri indossavano le pelli animali convinti di riuscire, in questo modo, a cambiare volto alla propria anima e di conseguenza la propria energia vitale in quella di un animale.
Lo shapeshifting, dunque, provocava una vera e propria fusione dell’anima dell’essere umano con quella dell’animale e allo stesso tempo quella della terra con lo spirito, sviluppando la massima compenetrazione tra uomo e natura.
Tra le pratiche magiche riportate nelle fonti letterarie, le più note sono il Galdr, incantesimi recitati tramite canti o anche invocazioni delle Rune; il Gandr, una pratica considerata malvagia al punto che in alcune narrazioni della mitologia nordica viene associato a mostri o animali terrificanti; l’Útiseta, una sorta di meditazione finalizzati a mettersi in contatto con altri mondi, che consisteva all’aperto, spesso su tumuli cenerari oppure in montagna o lungo un torrente.
Infine, il Seiðr, una pratica antichissima di origine sciamanica: secondo Snorri Sturluson, tale pratica fonda le sue origini mitologiche nella Yinlinga Saga.
Il Seiðr, nell’ambito delle esperienze mistiche, pone la massima attenzione sul concetto di divinazione: gli sciamani norreni operavano al fine di poter comunicare con gli spiriti per poter ottenere una conoscenza altrimenti inaccessibile.
Durante la pratica del Seiðr, la cerimonia si svolgeva attraverso canti ritenuti magici, su una piattaforma issata ad un’altezza notevole, che stava a simboleggiare l’avvicinarsi al cielo. Il rito veniva celebrato tramite un intenso uso di tamburi, producendo un suono marziale, dal ritmo ossessivo, finalizzato a produrre uno stato di trance mentale che portava lo sciamano a stabilire un legame con entità sovrannaturali.
Nella cerimonia del Seiðr aveva un ruolo molto importante anche la simbologia animale, in particolare la figura del corvo. Secondo il folklore nordico, questo animale ha un legame stretto con la magia, rappresenta la preveggenza ed è considerato un animale guida in grado di proteggere e donare la piena conoscenza della magia in un percorso di crescita spirituale.
Nel corso del tempo, soprattutto in seguito al processo di cristianizzazione delle popolazioni considerate pagane, la magia ha acquisito una concezione negativa, in quanto poteva essere utilizzata per scopo malvagi. La religione, al contrario, si poneva come una giustificazione all’accadimento degli eventi.
Nelle religioni monoteiste questo approccio era ancora più marcato, dato che i poteri sovrannaturali potevano appartenere ad un solo dio, a discapito della magia che era considerata un sacrilegio. Inoltre, l’antica religione dei popoli norreni presenta elementi che possono essere interpretati secondo i canoni dell’evemerismo, teoria secondo la quale le divinità mitologiche sono eroi divenuti dèi a seguito di un processo di iniziazione e divinazione.
In entrambi i casi, sia che si parli di religione, sia che si parli di magia, alla base di queste credenze ci sono i rituali esercitati sulla base di determinati gesti simbolici. In questo contesto si distinguono tre diverse figure sulla base di due differenti prospettive, una collegata alla religione, l’altra connessa alla magia: il sacerdote, lo stregone, lo sciamano.
Il sacerdote, operante nella sfera religiosa, assume una veste a cui è associato l’elemento della purezza, in quanto è il tramite con l’ultraterreno e di conseguenza appare come l’esecutore di rituali collettivi finalizzati a celebrare ed evocare qualcosa di ignoto e sovrannaturale, ma allo stesso tempo assume il ruolo di custode della memoria storica di una specifica società. Il concetto di sacerdote, nel corso dei secoli, si è evoluto sempre di più da tutti quegli elementi che potessero in qualche modo associarlo alla figura di mago, fino a renderlo un “semplice” intermediario tra gli uomini e gli dèi.
Lo stregone pone le sue fondamenta sulla convinzione che il cosmo sia un tutto e il suo obbiettivo, solitamente, è quello di controllare e condizionare il destino, nel bene o nel male.
Infine, gli sciamani che, così come gli stregoni, sono visti con diffidenza e scetticismo se non addirittura paura. Proprio su questo elemento verte, invece, una differenza sostanziale, in quanto l’attività dello sciamano non è mai volta ad intenti malvagi, ma finalizzata al benessere della comunità di cui fa parte.
Lo sciamanesimo non è una religione e non ha un sistema di credenze proprio, ma è un insieme di attività volta a trovare l’equilibrio tra corpo, mente e spirito, in cui il rapporto con il sovrannaturale si evidenzia nel momento in cui lo sciamano entra in uno stato di trance, al fine di comunicare con gli spiriti.
Da quanto si apprende dalle fonti letterarie della mitologia nordica, lo sciamo non era solo una figura spirituale e di guaritore, ma era anche colui che traghettava le anime dei defunti nell’aldilà.
Una sua caratteristica era lo shapeshifting, cioè la capacità di tramutarsi in altri esseri, spesso animali, assumendone non solo i caratteri estetici, ma anche le caratteristiche comportamentali. Secondo le credenze dell’epoca, i guerrieri indossavano le pelli animali convinti di riuscire, in questo modo, a cambiare volto alla propria anima e di conseguenza la propria energia vitale in quella di un animale.
Lo shapeshifting, dunque, provocava una vera e propria fusione dell’anima dell’essere umano con quella dell’animale e allo stesso tempo quella della terra con lo spirito, sviluppando la massima compenetrazione tra uomo e natura.
Tra le pratiche magiche riportate nelle fonti letterarie, le più note sono il Galdr, incantesimi recitati tramite canti o anche invocazioni delle Rune; il Gandr, una pratica considerata malvagia al punto che in alcune narrazioni della mitologia nordica viene associato a mostri o animali terrificanti; l’Útiseta, una sorta di meditazione finalizzati a mettersi in contatto con altri mondi, che consisteva all’aperto, spesso su tumuli cenerari oppure in montagna o lungo un torrente.
Infine, il Seiðr, una pratica antichissima di origine sciamanica: secondo Snorri Sturluson, tale pratica fonda le sue origini mitologiche nella Yinlinga Saga.
Il Seiðr, nell’ambito delle esperienze mistiche, pone la massima attenzione sul concetto di divinazione: gli sciamani norreni operavano al fine di poter comunicare con gli spiriti per poter ottenere una conoscenza altrimenti inaccessibile.
Durante la pratica del Seiðr, la cerimonia si svolgeva attraverso canti ritenuti magici, su una piattaforma issata ad un’altezza notevole, che stava a simboleggiare l’avvicinarsi al cielo. Il rito veniva celebrato tramite un intenso uso di tamburi, producendo un suono marziale, dal ritmo ossessivo, finalizzato a produrre uno stato di trance mentale che portava lo sciamano a stabilire un legame con entità sovrannaturali.
Nella cerimonia del Seiðr aveva un ruolo molto importante anche la simbologia animale, in particolare la figura del corvo. Secondo il folklore nordico, questo animale ha un legame stretto con la magia, rappresenta la preveggenza ed è considerato un animale guida in grado di proteggere e donare la piena conoscenza della magia in un percorso di crescita spirituale.
Religione e sciamanesimo nelle regioni artiche
Nell’antichità, la magia, la divinazione e le pratiche sciamaniche sono stati temi che hanno fatto da trait d’union tra i popoli norreni e le vicine popolazioni Sami, stanziate nella regione della Fennoscandia, compresa tra la Scandinavia, la penisola di Kola (nell’odierna Russia) e il bassopiano finno-coreliano, tra la Finlandia sud-orientale e la Carelia, antica regione baltica.
Nel caso dei Sami, a differenza delle altre popolazioni nordiche, non si può parlare di vera a propria religione, o quantomeno non secondo la concezione moderna del termine. Si tratta piuttosto di credenze che si manifestavano tramite riti, sacrifici e preghiere, fondate su un sistema culturale a cavallo tra folklore e mitologia, strettamente connesse al culto della natura e all’ambiente artico, dove avevano sviluppato le loro comunità.
Nell’antichità, la magia, la divinazione e le pratiche sciamaniche sono stati temi che hanno fatto da trait d’union tra i popoli norreni e le vicine popolazioni Sami, stanziate nella regione della Fennoscandia, compresa tra la Scandinavia, la penisola di Kola (nell’odierna Russia) e il bassopiano finno-coreliano, tra la Finlandia sud-orientale e la Carelia, antica regione baltica.
Nel caso dei Sami, a differenza delle altre popolazioni nordiche, non si può parlare di vera a propria religione, o quantomeno non secondo la concezione moderna del termine. Si tratta piuttosto di credenze che si manifestavano tramite riti, sacrifici e preghiere, fondate su un sistema culturale a cavallo tra folklore e mitologia, strettamente connesse al culto della natura e all’ambiente artico, dove avevano sviluppato le loro comunità.
Analogamente ai Norreni, i Sami avevano un approccio politeista, in quanto veneravano una serie di divinità, ma allo stesso tempo il loro culto era intriso anche di principi tipici delle religioni animiste, secondo le cui credenze montagne, rocce, alberi e altri elementi della natura potevano avere un’anima. I Sami consideravano le divinità entità spirituali, non trascendenti, quindi presenti non solo in un mondo di spiriti, ma anche nella quotidianità, in oggetti di uso comune e soprattutto in luoghi sacri legati alla natura.
Un’altra correlazione con i culti religiosi norreni riguarda la figura dello sciamano. Per i Sami, il noaide (sciamano) era colui che aveva la capacità di costituire un legame tra il mondo dei vivi e quello dei morti, nonché tra le forze naturali e quelle sovrannaturali.
I noaidi non acquisivano il ruolo di sciamano per via ereditaria o per status sociale della famiglia di provenienza, ma venivano sottoposti ad un rito di iniziazione, intraprendendo un percorso di apprendimento durante il quale venivano affiancati da altri sciamani già iniziati ed esperti di pratiche magiche.
Quando la religione sfociava nella magia ecco che emergono parecchie analogie e differenze tra i popoli norreni e i Sami. Un esempio può essere la pratica norrena del Seiðr paragonabile al rituale sciamanico dei Sami che induceva il noaide in uno stato di trance. Questa alterazione dello stato cosciente era comune a molti popoli dell’antichità e poteva essere raggiunga in modi differenti a seconda del culturale in cui si sviluppavano queste credenze. Nonostante il rituale scandivano si articolasse in una cerimonia più complessa rispetto a quello dei Sami, in entrambi i casi gli elementi su cui poggiavano i riti di trascendenza erano profondamente legati alla musica, la danza e soprattutto all’utilizzo di alcuni strumenti archetipi come il tamburo.
Altra importanti similitudini tra Norreni e Sami si trovano nel rapporto con la natura e con gli animali. Nel primo caso gli entrambi sciamani entravano in meditazione per creare un legame con la natura al fine di poterne apprendere i poteri curativi. Per quanto riguarda il rapporto con gli animali, nella cultura norrena gli sciamani (così come i guerrieri Berserkir e Úlfheðnar) indossavano le pelli animali per mutare la propria anima e assumere l’energia vitale dell’animale; i Sami, invece, arrivavano a venerarli, fino a creare veri e propri culti come nel caso di orsi e renne.
Queste analogie tra la cultura norrena e quella dei Sami sono avvalorate da ritrovamenti di tombe, i cui approfondimenti archeologici hanno dimostrato come questi popoli si sono influenzati reciprocamente condizionando il proprio percorso evolutivo.
Altra importanti similitudini tra Norreni e Sami si trovano nel rapporto con la natura e con gli animali. Nel primo caso gli entrambi sciamani entravano in meditazione per creare un legame con la natura al fine di poterne apprendere i poteri curativi. Per quanto riguarda il rapporto con gli animali, nella cultura norrena gli sciamani (così come i guerrieri Berserkir e Úlfheðnar) indossavano le pelli animali per mutare la propria anima e assumere l’energia vitale dell’animale; i Sami, invece, arrivavano a venerarli, fino a creare veri e propri culti come nel caso di orsi e renne.
Queste analogie tra la cultura norrena e quella dei Sami sono avvalorate da ritrovamenti di tombe, i cui approfondimenti archeologici hanno dimostrato come questi popoli si sono influenzati reciprocamente condizionando il proprio percorso evolutivo.
