LE PORTE DI YGGDRASILL, Alla scoperta degli antichi popoli nordici
Celti e Germani
Gli studi archeologici fanno risalire le principali comunità dell’Europa continentale all’età del ferro, individuando in particolare due diversi siti. Il più antico è il sito di Hallstatt, da cui deriva l’omonima cultura archeologica sviluppatasi in Stiria, nei pressi dell’attuale Salisburgo, tra il XIII e il V secolo a.C.
Il secondo sito è quello della Cultura di La Tène, sviluppatasi nei pressi del lago di Neuchâtel, in Svizzera, tra il VI e il I secolo a.C. espandendosi fino al Mare del Nord e più ad est verso l’odierna Repubblica Ceca, fino ai Carpazi.
Altri nuclei di culture archeologiche sono stati individuati in bassa Sassonia: Wessenstedt (800 - 600 a.C.) e Jastorf (600 - 300 a.C.).
In questo contesto sono state elette due macro-agglomerazioni derivanti dalle culture classiche, greca e romana, per identificare le popolazioni europee, soprattutto sulla base del ceppo linguistico.
In particolare, archeologi e linguisti individuano il primo macro-agglomerato proveniente dalle culture di Hallstatt e La Tène, con il termine convenzionale Celti, etnonimo che fu coniato dagli antichi eruditi greci per indicare le popolazioni con le quali ebbero i primi contatti nella colonia di Marsiglia, termine poi esteso ad altre popolazioni culturalmente affini.
Gli studi archeologici fanno risalire le principali comunità dell’Europa continentale all’età del ferro, individuando in particolare due diversi siti. Il più antico è il sito di Hallstatt, da cui deriva l’omonima cultura archeologica sviluppatasi in Stiria, nei pressi dell’attuale Salisburgo, tra il XIII e il V secolo a.C.
Il secondo sito è quello della Cultura di La Tène, sviluppatasi nei pressi del lago di Neuchâtel, in Svizzera, tra il VI e il I secolo a.C. espandendosi fino al Mare del Nord e più ad est verso l’odierna Repubblica Ceca, fino ai Carpazi.
Altri nuclei di culture archeologiche sono stati individuati in bassa Sassonia: Wessenstedt (800 - 600 a.C.) e Jastorf (600 - 300 a.C.).
In questo contesto sono state elette due macro-agglomerazioni derivanti dalle culture classiche, greca e romana, per identificare le popolazioni europee, soprattutto sulla base del ceppo linguistico.
In particolare, archeologi e linguisti individuano il primo macro-agglomerato proveniente dalle culture di Hallstatt e La Tène, con il termine convenzionale Celti, etnonimo che fu coniato dagli antichi eruditi greci per indicare le popolazioni con le quali ebbero i primi contatti nella colonia di Marsiglia, termine poi esteso ad altre popolazioni culturalmente affini.
Il termine coniato per indicare queste popolazioni fu Celti, dal greco Keltoi, che al pari dell’appellativo dei romani, significa barbari.
Gli studi sui Celti sono particolarmente complessi perché riguardano una cultura disseminata in ina vasta porzione d’Europa e che si è protratta per secoli, lungo un arco di tempo in cui si sono succeduti eventi importanti che hanno mutato tutte le civiltà coinvolte.
Gli scavi archeologici sparsi in diverse regioni d’Europa, da est ad ovest e da nord a sud, hanno confermato l’ampia espansione di queste popolazioni.
Nell’ambito dei popoli Celti ecco che sono stati raggruppati cinque diversi gruppi: i Britanni, abitanti in Gran Bretagna e Irlanda; i Galli, stanziati tra la Francia, la Svizzera e il Belgio; i Pannoni, che popolavano le regioni lungo il Danubio, comprese tra le attuali Austria, Repubblica Ceca e più a sud tra Croazia e Ungheria; i Celtiberi, stanziati nella Penisola Iberica; i Galati, stanziati tra la penisola balcanica e la Tracia, fino alle regioni dell’Anatolia centrale.Gli studi sui Celti sono particolarmente complessi perché riguardano una cultura disseminata in ina vasta porzione d’Europa e che si è protratta per secoli, lungo un arco di tempo in cui si sono succeduti eventi importanti che hanno mutato tutte le civiltà coinvolte.
Gli scavi archeologici sparsi in diverse regioni d’Europa, da est ad ovest e da nord a sud, hanno confermato l’ampia espansione di queste popolazioni.
Verso sud-est, già durante il medioevo ellenico [1200 – 800 a.C]si registrano contatti tra i Celti e gli antichi greci. Altri ritrovamenti, ancora più ad oriente, suggeriscono che la loro espansione abbia raggiunto i territori degli Ittiti (odierna Turchia) fino ad arrivare in contatto con l’impero assiro.
Sul versante occidentale, invece, l’espansione delle tribù celtiche si spinse verso la Gallia e più a nord verso le Isole Britanniche, dove, a causa delle averse condizioni climatiche, è possibile che gli insediamenti avvennero più lentamente.
Nel corso del tempo, le nuove comunità, nate dalla fusione tra i Celti e le popolazioni autoctone della Britannia, svilupparono importanti differenze le une dalle altre. Le terre di Irlanda e Scozia restarono fuori dal dominio di Roma, così come il Galles che, seppur rientrasse tra i territori conquistati dai Romani, fu sottoposto a controlli meno rigidi rispetto al resto dell’isola e di conseguenza, ne subì meno l’influenza.
Nel resto della Britannia, al contrario, la cultura celtica fu soppianta gradualmente da un processo di romanizzazione che determinò la nascita di una nuova società romano-britannica.
Sul versante occidentale, invece, l’espansione delle tribù celtiche si spinse verso la Gallia e più a nord verso le Isole Britanniche, dove, a causa delle averse condizioni climatiche, è possibile che gli insediamenti avvennero più lentamente.
Nel corso del tempo, le nuove comunità, nate dalla fusione tra i Celti e le popolazioni autoctone della Britannia, svilupparono importanti differenze le une dalle altre. Le terre di Irlanda e Scozia restarono fuori dal dominio di Roma, così come il Galles che, seppur rientrasse tra i territori conquistati dai Romani, fu sottoposto a controlli meno rigidi rispetto al resto dell’isola e di conseguenza, ne subì meno l’influenza.
Nel resto della Britannia, al contrario, la cultura celtica fu soppianta gradualmente da un processo di romanizzazione che determinò la nascita di una nuova società romano-britannica.
La seconda macro-agglomerazione è fa riferimento all’etnonimo Germani, etichetta convenzionalmente adottata sulla base dell’etimologia Ger “vicini” + Mani “uomini” per indicare in maniera generica e a volte fuorviante, tutte quelle popolazioni del continente europeo giudicate estranee ai parametri culturali del mondo classico.
L’identificazione etnica può avere radici territoriali o di altra varia natura, ma è comunque il risultato di lunghi processi migratori derivati da elementi di natura economica, politica, religiosa o militare, nei quali l’etnicità in senso stretto entra in gioco in maniera assai disomogenea.
Le fonti più famose si trovano negli scritti di autori classici, tra cui spiccano il De bello Gallico, scritto da Gaio Giulio Cesare, attorno al 50 a.C. e il De origine et situ Germanorum di Publio Cornelio Tacito, in cui l’autore descrive le tribù germaniche che vivevano fuori i confini dell’Impero Romano, risalente al 98 d.C. circa. Da queste fonti proviene una dettagliata suddivisione delle tribù germaniche che costituisco il nucleo di quei territori del Europa centrale e settentrionale che non erano sotto il controllo romano, che prendeva il nome di Germania.
L’identificazione etnica può avere radici territoriali o di altra varia natura, ma è comunque il risultato di lunghi processi migratori derivati da elementi di natura economica, politica, religiosa o militare, nei quali l’etnicità in senso stretto entra in gioco in maniera assai disomogenea.
Le fonti più famose si trovano negli scritti di autori classici, tra cui spiccano il De bello Gallico, scritto da Gaio Giulio Cesare, attorno al 50 a.C. e il De origine et situ Germanorum di Publio Cornelio Tacito, in cui l’autore descrive le tribù germaniche che vivevano fuori i confini dell’Impero Romano, risalente al 98 d.C. circa. Da queste fonti proviene una dettagliata suddivisione delle tribù germaniche che costituisco il nucleo di quei territori del Europa centrale e settentrionale che non erano sotto il controllo romano, che prendeva il nome di Germania.
La storiografia romana ripartiva le popolazioni germaniche in funzione delle aree geografiche in cui erano stanziate. Tra la parte settentrionale dell’Europa continentale e la Scandinavia si trovavano i Teutoni, i Sueoni (etnogenesi dei popoli svedesi), i Guti, i Rugi e degli Juti, provenienti dalla penisola dello Jutland (l’attuale Danimarca).
Più a sud, lungo il bacino dell’Elba vivevano i Marcomanni, i Semnoni, i Longobardi, mentre ad est, tra i fiumi Oder e Vistola (nelle attuali Repubblica Ceca e Polonia), fino alle regioni baltiche erano stanziati i popoli Sciri, Burguni, Goti, Vandali ed Eruli.
Ad occidente, invece, lungo le coste del Mare del Nord, si trovavano i Frisi, Cauci, Cimbri, Angli e i Sassoni, mentre stanziati nella zona tra i bacini del Reno e del fiume Weser, si trovavano i popoli Catti, Batavi, Ubi, Treveri e Franchi.
Più a sud, lungo il bacino dell’Elba vivevano i Marcomanni, i Semnoni, i Longobardi, mentre ad est, tra i fiumi Oder e Vistola (nelle attuali Repubblica Ceca e Polonia), fino alle regioni baltiche erano stanziati i popoli Sciri, Burguni, Goti, Vandali ed Eruli.
Ad occidente, invece, lungo le coste del Mare del Nord, si trovavano i Frisi, Cauci, Cimbri, Angli e i Sassoni, mentre stanziati nella zona tra i bacini del Reno e del fiume Weser, si trovavano i popoli Catti, Batavi, Ubi, Treveri e Franchi.
L’antropizzazione delle Regioni del Nord Europa
È difficile determinare con esattezza la periodizzazione storica delle popolazioni, in quanto essa varia a seconda dei contesti geografici del pianeta.
Le prime tracce di antropizzazione dei territori scandinavi risalgono al XIII Secolo a.C. – collocandosi nella fase finale del Paleolitico – e si estende tra il nord della Germania, Belgio, Paesi Bassi e Danimarca, avvalorando la tesi che già attorno al 13.000 a.C. in molti dei territori dell’attuale Scandinavia si svilupparono le prime forme di vegetazione in numerose aree totalmente sgombre di ghiacci.
Questi primi insediamenti vengono indicati con il termine di Cultura di Amburgo, dal luogo dove sono stata trovata la concentrazione maggiore dei reperti più significativi.
Le successive fasi preistoriche, si possono scandire secondo quanto segue:
È difficile determinare con esattezza la periodizzazione storica delle popolazioni, in quanto essa varia a seconda dei contesti geografici del pianeta.
Le prime tracce di antropizzazione dei territori scandinavi risalgono al XIII Secolo a.C. – collocandosi nella fase finale del Paleolitico – e si estende tra il nord della Germania, Belgio, Paesi Bassi e Danimarca, avvalorando la tesi che già attorno al 13.000 a.C. in molti dei territori dell’attuale Scandinavia si svilupparono le prime forme di vegetazione in numerose aree totalmente sgombre di ghiacci.
Questi primi insediamenti vengono indicati con il termine di Cultura di Amburgo, dal luogo dove sono stata trovata la concentrazione maggiore dei reperti più significativi.
Le successive fasi preistoriche, si possono scandire secondo quanto segue:
Mesolitico (9500 a.C. – 4100 a.C.)
I Fase (9500 a.C. – 6800 a.C.) – Antropizzazione della Danimarca, Svezia meridionale e centrale, Regione di Gotland
Passaggio della flora e della fauna tipica della tundra a quella della foresta
Attività di caccia e pesca, raccolta di vegetali commestibili
Attività di caccia e pesca, raccolta di vegetali commestibili
II Fase (6800 a.C. – 5500 .C.) – Antropizzazione Norvegia e aree dei fiordi
Cultura di Fosna, nell’arcipelago di Kristiansund, lungo la costa delle regioni di Møre e Romsdal
Cultura di Komsa, nella regione di Finnmark, fino alla Penisola di Kola.
Cultura di Nøstvet, all’interno del Bunnefjorden, a sud-est di OsloIII Fase (5500 a.C. – 4100 a.C.) – Antropizzazione entroterra norvegese, danese e svedese
Cultura di Lihult, nella regione svedese di Bohuslän
Cultura di Ertebølle, sul Limfjorden, nella parte più a nord della regione dello Jutland
Cultura di Ertebølle, sul Limfjorden, nella parte più a nord della regione dello Jutland
Neolitico (4100 a.C. – 2300 a.C.)
Accanto ai sistemi tradizionali della caccia e della pesca, compaiono nuove attività per il sostentamento, legate all’allevamento e all’agricoltura.
Si registrano i primi contatti tra le popolazioni scandinave con le culture delle aree centrali dell’Europa, tra Belgio, Germania, Polonia, fino più a sud, con le regioni della Svizzera e dell’Austria, fino alla Bulgaria.
La prima cultura contadina scandinava risale alla Danimarca, estendendosi fino all’Europa continentale, tra il 3900 e il 3800 a.C.
Attorno al 3500 a.C. risalgono le prime tracce di aratura del terreno, e già durante il III millennio a.C. fa la comparsa il carro con le ruote
Tra il 2800 e il 2700 a.C. le prime forme di agricoltura sono diffuse in Danimarca, nelle regioni centro-meridionali della Svezia, lungo le coste interne norvegesi e del Baltico.
Dal punto di vista culturale, si affermano gli aspetti legati alla sacralità, legati alla realizzazione dei primi monumenti funerari, elemento utile per comprendere l’organizzazione sociale delle comunità del tempo.
In questo periodo della preistoria scandinava, si definiscono i modelli di comunità organizzate secondo concezioni di vita differenti, collettiva e individualistica, dualismo che verrà proiettato nella cultura religiosa norrena, tra le divinità dei Vani e degli Asi.
La zona di contatto tra le popolazioni scandinave e quelle provenienti dall’Europa continentale è l’area compresa tra le regioni più settentrionali della Germania, lo Jutland, la Danimarca e le regioni meridionali di Svezia e Norvegia. In quest’areai vengono fatti risalire i primi nuclei di popolazioni indicate con il termine Germani del Nord, dove, tra le varie istanze e modelli culturali, si determina il prevalere di idiomi di matrice indoeuropea.
La Protostoria (l’Età dei metalli: rame, bronzo, ferro)
Durante questa fase di transizione verso l’Età Antica (comunemente fatta coincidere con l’arco temporale a partire dall’invenzione della scrittura alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, nel 476 d.C.) si sono recuperate numerose testimonianze di scambi commerciali con le aree sud-orientali del continente europeo.
A differenza dell’età del rame, che nella Scandinavia si colloca tra il 2300 e il 1700 a.C., l’età del bronzo, che si protrae fino al 500 a.C., è notevolmente più ricca di significativi reperti di pregevole manifattura, molto spesso trovati in luoghi di culto, a conferma del loro utilizzo come oggetti di decorazioni, piuttosto che essere impiegati per le attività quotidiane.
Un altro elemento di notevole rilevanza è l’arte rupestre, le cui incisioni su pietra e le raffigurazioni sulle pareti di roccia nel nord Europa vantano una lunghissima tradizione e un’ottima qualità.
I soggetti rappresentati in questa forma di arte antica sono soventemente simboli che in qualche modo richiamano gli aspetti della vita in comunità, ma anche elementi legati a culti religiosi o magici, determinandone un carattere indiscutibilmente culturale e rituale.
La crisi nell’approvvigionamento del metallo introduce la successiva età del ferro, che in Scandinavia viene solitamente stabilita attorno al 500 a.C.
Questa epoca si caratterizza soprattutto per i primi flussi migratori in diverse direzioni, verso le regioni dell’Europa continentale, approcciando all’influenza culturale delle popolazioni celtiche.
Gli studiosi suddividono l’età del ferro scandinava in differenti fasi, verosimilmente anche in funzione dei ritrovamenti archeologici: l’età del ferro celtica o preromana (500 a.C. – Anno 0), età del ferro romana (Anno 0 - 400 d.C.), età delle migrazioni (400 d.C – 550 d.C) ed età dei Merovingi (550 d.C. – 800 d. C.) .
Le inquietudini dell’età del ferro, dovute anche ai cambiamenti climatici e alle conseguenti difficoltà per le attività di sostentamento, suggeriscono che molti prodotti legati all’agricoltura, alla caccia e alla pesca, ma anche ad altre attività della vita quotidiana, siano frutto di intensi scambi commerciali tra le diverse popolazioni del continente europeo, implicando profonde trasformazioni nelle stesse comunità dell’epoca.
Accanto ai sistemi tradizionali della caccia e della pesca, compaiono nuove attività per il sostentamento, legate all’allevamento e all’agricoltura.
Si registrano i primi contatti tra le popolazioni scandinave con le culture delle aree centrali dell’Europa, tra Belgio, Germania, Polonia, fino più a sud, con le regioni della Svizzera e dell’Austria, fino alla Bulgaria.
La prima cultura contadina scandinava risale alla Danimarca, estendendosi fino all’Europa continentale, tra il 3900 e il 3800 a.C.
Attorno al 3500 a.C. risalgono le prime tracce di aratura del terreno, e già durante il III millennio a.C. fa la comparsa il carro con le ruote
Tra il 2800 e il 2700 a.C. le prime forme di agricoltura sono diffuse in Danimarca, nelle regioni centro-meridionali della Svezia, lungo le coste interne norvegesi e del Baltico.
Dal punto di vista culturale, si affermano gli aspetti legati alla sacralità, legati alla realizzazione dei primi monumenti funerari, elemento utile per comprendere l’organizzazione sociale delle comunità del tempo.
In questo periodo della preistoria scandinava, si definiscono i modelli di comunità organizzate secondo concezioni di vita differenti, collettiva e individualistica, dualismo che verrà proiettato nella cultura religiosa norrena, tra le divinità dei Vani e degli Asi.
La zona di contatto tra le popolazioni scandinave e quelle provenienti dall’Europa continentale è l’area compresa tra le regioni più settentrionali della Germania, lo Jutland, la Danimarca e le regioni meridionali di Svezia e Norvegia. In quest’areai vengono fatti risalire i primi nuclei di popolazioni indicate con il termine Germani del Nord, dove, tra le varie istanze e modelli culturali, si determina il prevalere di idiomi di matrice indoeuropea.
La Protostoria (l’Età dei metalli: rame, bronzo, ferro)
Durante questa fase di transizione verso l’Età Antica (comunemente fatta coincidere con l’arco temporale a partire dall’invenzione della scrittura alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, nel 476 d.C.) si sono recuperate numerose testimonianze di scambi commerciali con le aree sud-orientali del continente europeo.
A differenza dell’età del rame, che nella Scandinavia si colloca tra il 2300 e il 1700 a.C., l’età del bronzo, che si protrae fino al 500 a.C., è notevolmente più ricca di significativi reperti di pregevole manifattura, molto spesso trovati in luoghi di culto, a conferma del loro utilizzo come oggetti di decorazioni, piuttosto che essere impiegati per le attività quotidiane.
Un altro elemento di notevole rilevanza è l’arte rupestre, le cui incisioni su pietra e le raffigurazioni sulle pareti di roccia nel nord Europa vantano una lunghissima tradizione e un’ottima qualità.
I soggetti rappresentati in questa forma di arte antica sono soventemente simboli che in qualche modo richiamano gli aspetti della vita in comunità, ma anche elementi legati a culti religiosi o magici, determinandone un carattere indiscutibilmente culturale e rituale.
La crisi nell’approvvigionamento del metallo introduce la successiva età del ferro, che in Scandinavia viene solitamente stabilita attorno al 500 a.C.
Questa epoca si caratterizza soprattutto per i primi flussi migratori in diverse direzioni, verso le regioni dell’Europa continentale, approcciando all’influenza culturale delle popolazioni celtiche.
Gli studiosi suddividono l’età del ferro scandinava in differenti fasi, verosimilmente anche in funzione dei ritrovamenti archeologici: l’età del ferro celtica o preromana (500 a.C. – Anno 0), età del ferro romana (Anno 0 - 400 d.C.), età delle migrazioni (400 d.C – 550 d.C) ed età dei Merovingi (550 d.C. – 800 d. C.) .
Le inquietudini dell’età del ferro, dovute anche ai cambiamenti climatici e alle conseguenti difficoltà per le attività di sostentamento, suggeriscono che molti prodotti legati all’agricoltura, alla caccia e alla pesca, ma anche ad altre attività della vita quotidiana, siano frutto di intensi scambi commerciali tra le diverse popolazioni del continente europeo, implicando profonde trasformazioni nelle stesse comunità dell’epoca.
I popoli del nord
Dalle scuole classiche romana e greca provengono altri riferimenti geografici e storiografici dei territori del Nord Europa e in particolare della Scandinavia.
Tra le opere più importanti è da ricordare “Sull’oceano”, libro del geografo greco Pitea, che ha vissuto a Massalia (l’attuale Marsiglia) nel IV secolo a.C.
Nella sua opera, l’autore descrive il viaggio verso nord, seguendo le coste della Britannia spingendosi verso gli arcipelaghi settentrionali delle isole Ebridi, delle Orcadi e delle isole Fær Øer, introducendo il mito di Thule. Il suo viaggio verso nord-est lo portò in Scandinavia, approdando in Norvegia, poi verso l’isola di Gotland, in Svezia, per fare infine ritorno verso casa.
Altre fonti a riguardo dei territori del nord sono giunte in epoca romana, attraverso gli scritti di Pomponio Mela e Plinio il Vecchio in cui i geografi descrivono il Codanus Sinus per indicare la regione costiera a sud della Scandinavia, tra lo Jutland, lo stretto di Kattegat e il Mar Baltico.
In epoca romana, il nord Europa non fu solo materiale di studio per i geografi, ma altre importanti fonti letterarie hanno permesso di poter tracciare una mappatura delle diverse etnie e tribù “germaniche” nei territori scandinavi.
Dalle scuole classiche romana e greca provengono altri riferimenti geografici e storiografici dei territori del Nord Europa e in particolare della Scandinavia.
Tra le opere più importanti è da ricordare “Sull’oceano”, libro del geografo greco Pitea, che ha vissuto a Massalia (l’attuale Marsiglia) nel IV secolo a.C.
Nella sua opera, l’autore descrive il viaggio verso nord, seguendo le coste della Britannia spingendosi verso gli arcipelaghi settentrionali delle isole Ebridi, delle Orcadi e delle isole Fær Øer, introducendo il mito di Thule. Il suo viaggio verso nord-est lo portò in Scandinavia, approdando in Norvegia, poi verso l’isola di Gotland, in Svezia, per fare infine ritorno verso casa.
Altre fonti a riguardo dei territori del nord sono giunte in epoca romana, attraverso gli scritti di Pomponio Mela e Plinio il Vecchio in cui i geografi descrivono il Codanus Sinus per indicare la regione costiera a sud della Scandinavia, tra lo Jutland, lo stretto di Kattegat e il Mar Baltico.
In epoca romana, il nord Europa non fu solo materiale di studio per i geografi, ma altre importanti fonti letterarie hanno permesso di poter tracciare una mappatura delle diverse etnie e tribù “germaniche” nei territori scandinavi.
Anche in questo caso, l’analisi etnologica viene sviluppata sulla base di fonti storiografiche di scuola romana.
Risalente al I secolo d.C., l’opera Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, narra dei popoli Illeviones, stanziati nella penisola scandinava, il cui ordinamento sociale era suddiviso in clan e tribù. Tra queste, le più note sono i Teutoni, Juti, Angli, Eruli, Sueoni, Geati, i Dani dai quali prende il nome la Danimarca, o gli Svear, antenati degli attuali svedesi.
Anticamente, queste popolazioni sono state indicate con l’idioma generico Norreni, in lingua antica norðrœnn, il cui suffisso œnn fa riferimento alla provenienza dal Nord (Scandinavia). Termine che durante il medioevo fu latinizzato in Normanni, mantenendo l’antico significato di “Uomini del Nord”.
Risalente al I secolo d.C., l’opera Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, narra dei popoli Illeviones, stanziati nella penisola scandinava, il cui ordinamento sociale era suddiviso in clan e tribù. Tra queste, le più note sono i Teutoni, Juti, Angli, Eruli, Sueoni, Geati, i Dani dai quali prende il nome la Danimarca, o gli Svear, antenati degli attuali svedesi.
Anticamente, queste popolazioni sono state indicate con l’idioma generico Norreni, in lingua antica norðrœnn, il cui suffisso œnn fa riferimento alla provenienza dal Nord (Scandinavia). Termine che durante il medioevo fu latinizzato in Normanni, mantenendo l’antico significato di “Uomini del Nord”.
L’epoca vichinga
Con il termine “era vichinga” si indica l’arco temporale di circa 250 anni, compreso tra la fine del VIII secolo e la seconda metà dell’XI secolo.
Per il termine “vichingo” non si è ancora giunti ad una interpretazione sicura e definitiva, a causa anche del fatto nelle lingue nordiche molte parole suonano foneticamente in maniera molto simile, se non addirittura allo stesso modo.
Tra le diverse possibili interpretazioni del termine “vik”, quella più comunemente diffusa tra i linguisti è “baia”, suggerendo pertanto che il termine vichingo sia ascrivibile alle comunità marittime insediatesi nelle baie e nelle aree più prossime ad esse.
Un’altra interpretazione comune è quella adottata dal linguista Fritz Askeberg che associa al termine “vichingo” alcune caratteristiche tipiche del vivere degli uomini del Nord, quali escursione e lontananza, suggerendo la chiave di lettura di “lungo viaggio per mare e una lunga assenza dalla patria”.
Generalmente l’inizio di questa epoca viene fatto coincidere con l’8 giugno 793, data dell’assalto vichingo al monastero inglese di Lindisfarne, nella regione di Northumbria.
Tra l'VIII e il X secolo, le incursioni vichinghe si spinsero in un vasto lembo dell’Atlantico, compreso tra le Isole Farøe e le isole Shetland, fino alle Orcadi, le Ebridi e all’Isola di Man al largo del Mare d’Irlanda. Negli anni Trenta del IX secolo, fu la volta delle incursioni vichinghe nell’entroterra irlandese, incursione e conquiste che si protrassero fin verso l’anno Mille, quando l’Irlanda riuscì a ritrovare la sua piena indipendenza dagli invasori norvegesi.
Ancora più incisive furono le incursioni nei territori inglesi, fino a divenire una vera e propria invasione, al punto da veder nascere ed espandersi un territorio sotto la giurisdizione dei danesi: il Danelaw. Dopo una serie di sanguinose battaglie e la conquista del Wessex da parte dei danesi, l’Inghilterra venne incorporata nel regno di Canuto il Grande, con il quale l’espansione vichinga raggiunse il suo apice.
Sul versante orientale, invece, dalla Svezia e dagli insediamenti baltici i norreni si diresse verso sud-est discendendo il corso dei fiumi Dnepr e Volga, attraversarono il Mar Nero da una parte e il Mar Caspio dall’altra, giungendo fino a Costantinopoli e Baghdad.
Dalla Danimarca, invece, le rotte di navigazione si spinsero ancora più a sud verso le coste occidentali della Francia, nelle regioni dei Frisoni e dei Sassoni, fino ad Aquisgrana. A sancire con un atto formale l’influenza dei popoli nordici, nel 911 Re Carlo il Semplice concesse al capo vichingo Rollone, il titolo di Duca di Normandia. Fatto questo che se da una parte evidenziava i successi vichinghi, nel lungo termine ne segnò un forte ridimensionamento. Durante la loro permanenza in Francia essi avevano gradualmente perso il loro patrimonio vichingo: sia gran parte delle loro tradizioni, sia la loro lingua ormai di fatto sostituita dai dialetti locali.
Altre scorrerie segnarono l’espansione vichinga verso sud, nel Mediterraneo, dove fu sbaragliata l’egemonia dei Saraceni che fino a quel momento, tra l’XI e il XII secolo, avevano il pieno controllo delle coste del Nord Africa, fino alla Sicilia e alle altre regioni dell’Italia meridionale.
Al culmine della loro espansione, i popoli nordici avevano esteso i confini del proprio mondo dalle coste americane dell’Oceano Atlantico, fino alle pianure dell’Asia Centrale.
L’epopea vichinga su però interrotta nel 1066, a seguito della sconfitta nella battaglia di Stamford Bridge del 25 settembre, che vide vincitore l’esercito inglese sulle fazioni norvegesi.
La vittoria inglese però durò poche settimane, fino alla battaglia di Hastings del 14 ottobre dello stesso anno che decretò una decisiva invasione normanna ad opera di Guglielmo il Conquistatore, il quale diventò il nuovo Re d’Inghilterra.
Con il termine “era vichinga” si indica l’arco temporale di circa 250 anni, compreso tra la fine del VIII secolo e la seconda metà dell’XI secolo.
Per il termine “vichingo” non si è ancora giunti ad una interpretazione sicura e definitiva, a causa anche del fatto nelle lingue nordiche molte parole suonano foneticamente in maniera molto simile, se non addirittura allo stesso modo.
Tra le diverse possibili interpretazioni del termine “vik”, quella più comunemente diffusa tra i linguisti è “baia”, suggerendo pertanto che il termine vichingo sia ascrivibile alle comunità marittime insediatesi nelle baie e nelle aree più prossime ad esse.
Un’altra interpretazione comune è quella adottata dal linguista Fritz Askeberg che associa al termine “vichingo” alcune caratteristiche tipiche del vivere degli uomini del Nord, quali escursione e lontananza, suggerendo la chiave di lettura di “lungo viaggio per mare e una lunga assenza dalla patria”.
Generalmente l’inizio di questa epoca viene fatto coincidere con l’8 giugno 793, data dell’assalto vichingo al monastero inglese di Lindisfarne, nella regione di Northumbria.
Tra l'VIII e il X secolo, le incursioni vichinghe si spinsero in un vasto lembo dell’Atlantico, compreso tra le Isole Farøe e le isole Shetland, fino alle Orcadi, le Ebridi e all’Isola di Man al largo del Mare d’Irlanda. Negli anni Trenta del IX secolo, fu la volta delle incursioni vichinghe nell’entroterra irlandese, incursione e conquiste che si protrassero fin verso l’anno Mille, quando l’Irlanda riuscì a ritrovare la sua piena indipendenza dagli invasori norvegesi.
Ancora più incisive furono le incursioni nei territori inglesi, fino a divenire una vera e propria invasione, al punto da veder nascere ed espandersi un territorio sotto la giurisdizione dei danesi: il Danelaw. Dopo una serie di sanguinose battaglie e la conquista del Wessex da parte dei danesi, l’Inghilterra venne incorporata nel regno di Canuto il Grande, con il quale l’espansione vichinga raggiunse il suo apice.
Sul versante orientale, invece, dalla Svezia e dagli insediamenti baltici i norreni si diresse verso sud-est discendendo il corso dei fiumi Dnepr e Volga, attraversarono il Mar Nero da una parte e il Mar Caspio dall’altra, giungendo fino a Costantinopoli e Baghdad.
Dalla Danimarca, invece, le rotte di navigazione si spinsero ancora più a sud verso le coste occidentali della Francia, nelle regioni dei Frisoni e dei Sassoni, fino ad Aquisgrana. A sancire con un atto formale l’influenza dei popoli nordici, nel 911 Re Carlo il Semplice concesse al capo vichingo Rollone, il titolo di Duca di Normandia. Fatto questo che se da una parte evidenziava i successi vichinghi, nel lungo termine ne segnò un forte ridimensionamento. Durante la loro permanenza in Francia essi avevano gradualmente perso il loro patrimonio vichingo: sia gran parte delle loro tradizioni, sia la loro lingua ormai di fatto sostituita dai dialetti locali.
Altre scorrerie segnarono l’espansione vichinga verso sud, nel Mediterraneo, dove fu sbaragliata l’egemonia dei Saraceni che fino a quel momento, tra l’XI e il XII secolo, avevano il pieno controllo delle coste del Nord Africa, fino alla Sicilia e alle altre regioni dell’Italia meridionale.
Al culmine della loro espansione, i popoli nordici avevano esteso i confini del proprio mondo dalle coste americane dell’Oceano Atlantico, fino alle pianure dell’Asia Centrale.
L’epopea vichinga su però interrotta nel 1066, a seguito della sconfitta nella battaglia di Stamford Bridge del 25 settembre, che vide vincitore l’esercito inglese sulle fazioni norvegesi.
La vittoria inglese però durò poche settimane, fino alla battaglia di Hastings del 14 ottobre dello stesso anno che decretò una decisiva invasione normanna ad opera di Guglielmo il Conquistatore, il quale diventò il nuovo Re d’Inghilterra.
Passaggio a Nord Ovest
L’epopea dei popoli nordici è stata caratterizzata soprattutto per le imprese compiute nell’ambito delle esplorazioni, grazie alle loro abilità nella navigazione.Durante quella che viene comunemente chiamata “epoca vichinga” i Paesi del Nord Europa vissero un periodo di intesa attività culturale, politica e di relazioni internazionali.
Le rotte lungo l’Oceano Atlantico furono a lungo batture dai vichinghi norvegesi che furono protagonisti della colonizzazione di numerose isole sparse tra le coste scozzesi e l’Islanda, fino alla Groenlandia e alle coste orientali del Nord America.
Il processo di colonizzazione dell’Islanda, tra il IX e il X secolo, va considerato in un’ottica completamente diversa rispetto ai flussi migratori avvenuto verso le isole della Gran Bretagna o le zone interne del continente europeo, in quanto la motivazione principale non dipendeva più da questioni di natura economica o commerciale, né tanto più era spinta dalla necessità di trovare nuove terre ricche di risorse naturali.
Un importante contributo storiografico circa la colonizzazione dell’Islanda ci giunge dal Libro degli Islandesi e soprattutto dal Landnamabok, il Libro dell’insediamento.
Le prime evidenze archeologiche datano attorno all’860 un primo insediamento lungo le coste dell’isola atlantica, che prese il nome di
Gardarholm, dal norvegese Gardar Svarvarsson, il quale approdò all’isola accidentalmente per via di una tempesta che dalle Orcadi lo spinse verso nord.
Il suo rientro in patria suscitò molto clamore tra la popolazione, la descrizione di una nuova terra che presentasse condizioni adeguate per le coltivazioni, l’allevamento del bestiame e la pesca, indusse ad una intensificazione delle migrazioni. Alcuni anni dopo, un altro norvegese, Flake Vilgardsson, si imbatté in quest’isola e finì per chiamarla Terra del Ghiaccio, Islanda.
L’espansione norvegese nell’Oceano Atlantico continuò fin circa all’anno mille e si inoltrò sempre più verso ovest. La storiografia nordica narra della scoperta della Groenlandia ad opera di Erik il Rosso, allontanato nel 982 dall’Islanda dopo aver commesso un omicidio, che descrisse quella terra che nonostante si presentasse inospitale e inaccessibile, lungo le coste più meridionali, verso Capo Farvel, presentava condizioni ottimali per gli insediamenti, soprattutto nella era più interne dei fiordi, ricche di vallate verdi e fiumi.
Già attorno al 985, il norvegese Bjorn Herjulfsson, mosso dalla ricerca del padre, si spinse in un viaggio che lo portò verso l’attuale Isola di Baffin, che all’epoca egli stesso chiamò Helluland, la Terra dei Sassi.
La crescita della popolazione rese ben presto le risorse groenlandesi insufficienti per il suo sostentamento e quindi prese piede a necessità di migrare verso nuove terre, altrettanto ricche per permettere eventuali insediamenti.
Fu così che attorno all’anno mille, il secondogenito di Erik il Rosso, Leif Erikson iniziò i suoi viaggi per mare giungendo ad una costa che si apriva verso verdi foreste che fu battezzata Markland, Terra delle Foreste), l’attuale penisola del Labrador, nella costa orientale del Canada. L’esplorazione continuò verso sud-est cosicché la spedizione giunse lungo le coste dell’attuale isola di Terranova che, in virtù della sua ricchezza di viti, gli fu dato l’appellativo di Vinland, Terra del Vino, dove sono stati individuati i siti archeologici de L’Anse Aux Meadows, nell’Isola di Terranova.
In quest’area, all’inizio degli anni 60 del XX secolo, Helge e Anna Ingstad portarono alla luce alcuni resti di edifici con una struttura molto simile a quelli presenti in Islanda e Groenlandia durante l’epoca vichinga. Tale scoperta, pertanto, si è rivelata una prova concreta della presenza dei popoli scandinavi in Nord America. Dalla prosecuzione degli scavi archeologici nell’Anse Aux Meadows, è emerso che gli edifici presentavano spazi potenzialmente utilizzabili come depositi, elemento che ha indotto a pensare che il sito non fosse un vero e proprio insediamento, ma un luogo di transito utile per svernare durante la stagione invernale.
Da qui i viaggiatori avrebbero potuto continuare le loro esplorazioni verso sud, piuttosto che lungo la costa orientale, pericolosa e accidentata. Una ulteriore spedizione esplorativa fu portata avanti, successivamente, da Thorfin Karlsefni, un mercate islandese che giunse fino alle coste del Golfo di San Lorenzo, verso la regione dei Grandi Laghi.
Le migrazioni norvegesi verso il Nord America non durarono a lungo e si interruppero pochi anni dopo, a causa delle continue tensioni con le popolazioni indigene dei nativi americani, chiamati Skraelinger. Dalla fine del XIX secolo ad oggi, una serie di ritrovamenti tra cui la Pietra di Kensington, una stele ricoperte di simbolo runici, rinvenuta nel 1898 nel Minnesota, hanno indotto a pensare che l’avanzata vichinga nel continente nord-americano sia penetrata fino alle zone più centrali degli Stati Uniti.
Il suo rientro in patria suscitò molto clamore tra la popolazione, la descrizione di una nuova terra che presentasse condizioni adeguate per le coltivazioni, l’allevamento del bestiame e la pesca, indusse ad una intensificazione delle migrazioni. Alcuni anni dopo, un altro norvegese, Flake Vilgardsson, si imbatté in quest’isola e finì per chiamarla Terra del Ghiaccio, Islanda.
L’espansione norvegese nell’Oceano Atlantico continuò fin circa all’anno mille e si inoltrò sempre più verso ovest. La storiografia nordica narra della scoperta della Groenlandia ad opera di Erik il Rosso, allontanato nel 982 dall’Islanda dopo aver commesso un omicidio, che descrisse quella terra che nonostante si presentasse inospitale e inaccessibile, lungo le coste più meridionali, verso Capo Farvel, presentava condizioni ottimali per gli insediamenti, soprattutto nella era più interne dei fiordi, ricche di vallate verdi e fiumi.
Già attorno al 985, il norvegese Bjorn Herjulfsson, mosso dalla ricerca del padre, si spinse in un viaggio che lo portò verso l’attuale Isola di Baffin, che all’epoca egli stesso chiamò Helluland, la Terra dei Sassi.
La crescita della popolazione rese ben presto le risorse groenlandesi insufficienti per il suo sostentamento e quindi prese piede a necessità di migrare verso nuove terre, altrettanto ricche per permettere eventuali insediamenti.
Fu così che attorno all’anno mille, il secondogenito di Erik il Rosso, Leif Erikson iniziò i suoi viaggi per mare giungendo ad una costa che si apriva verso verdi foreste che fu battezzata Markland, Terra delle Foreste), l’attuale penisola del Labrador, nella costa orientale del Canada. L’esplorazione continuò verso sud-est cosicché la spedizione giunse lungo le coste dell’attuale isola di Terranova che, in virtù della sua ricchezza di viti, gli fu dato l’appellativo di Vinland, Terra del Vino, dove sono stati individuati i siti archeologici de L’Anse Aux Meadows, nell’Isola di Terranova.
In quest’area, all’inizio degli anni 60 del XX secolo, Helge e Anna Ingstad portarono alla luce alcuni resti di edifici con una struttura molto simile a quelli presenti in Islanda e Groenlandia durante l’epoca vichinga. Tale scoperta, pertanto, si è rivelata una prova concreta della presenza dei popoli scandinavi in Nord America. Dalla prosecuzione degli scavi archeologici nell’Anse Aux Meadows, è emerso che gli edifici presentavano spazi potenzialmente utilizzabili come depositi, elemento che ha indotto a pensare che il sito non fosse un vero e proprio insediamento, ma un luogo di transito utile per svernare durante la stagione invernale.
Da qui i viaggiatori avrebbero potuto continuare le loro esplorazioni verso sud, piuttosto che lungo la costa orientale, pericolosa e accidentata. Una ulteriore spedizione esplorativa fu portata avanti, successivamente, da Thorfin Karlsefni, un mercate islandese che giunse fino alle coste del Golfo di San Lorenzo, verso la regione dei Grandi Laghi.
Le migrazioni norvegesi verso il Nord America non durarono a lungo e si interruppero pochi anni dopo, a causa delle continue tensioni con le popolazioni indigene dei nativi americani, chiamati Skraelinger. Dalla fine del XIX secolo ad oggi, una serie di ritrovamenti tra cui la Pietra di Kensington, una stele ricoperte di simbolo runici, rinvenuta nel 1898 nel Minnesota, hanno indotto a pensare che l’avanzata vichinga nel continente nord-americano sia penetrata fino alle zone più centrali degli Stati Uniti.
Viaggio nelle Terre d’Oriente
Dalla Norvegia e dalla Danimarca l’espansione norrena si è diretta verso ovest, in Gran Bretagna, Irlanda e gli arcipelaghi atlantici delle isole Shetland, Ebridi e Orcadi, spingendosi più a nord, verso le Isole Faroe, l’Islanda e la Groenlandia, fino alle coste occidentali del Nord America. Dalla Svezia, invece, l’espansione scandinava si è diretta verso sud-est, in direzione del Mar Caspio, giungendo fino in Asia.
Seguendo il corso del Dnepr e del Volga, i primi contatti con i norreni partiti da Uppsala e dalla regione del Gotland si registrarono con la Confederazione Bulgara e il Khanato dei Cazari, la cui capitale Itil (nei pressi dell’attuale Astrakhan) esercitava la propria influenza dal Caucaso fino alla Crimea. Questo territorio oggi corrisponde all’attuale Kazakistan.
Nelle regioni settentrionali, invece, alcuni ritrovamenti archeologici hanno portato alla luce i resti di un insediamento svedese risalente al IX secolo a Staraya Ladoga, nei pressi di Leningrado.
La più antica, tra le fonti storiografiche circa i variaghi e in particolare i Rus’ di Kiev è l’Antica Cronaca degli Anni Passati, risalente al XII secolo, che narra del Khanato di Rus’ la cui capitale era Novgorod e che si espanse lungo il Dnepr, fino a Kiev. Ben presto il grosso delle attività commerciali si spostò da Novgorod a Kiev che di conseguenza vide l’ascesa della propria influenza in tutta la regione tra la Bulgaria e il regno Cazaro.
La storiografia tende a periodizzare il potere del nuovo centro politico della Rus’ di Kiev in tre diverse fasi, tra l’880 e il 1240.
La prima coincide con il Regno di Svjatoslav I autore dell’espansionismo di Kiev nella regione bulgara del Volga; la seconda fase (980 - 1054) rappresenta il periodo più fulgido di Kiev e coincide con il regno di Vladimir il Santo, colui che fu autore del processo di conversione al cristianesimo della popolazione di origine variaga e che proseguì la politica di espansione verso i territori a nord-ovest, compresi tra Polonia e Lituania; la terza fase, invece, ne segna la progressiva decadenza fino all’invasione mongola tra il 1234 e il 1240, e la fine della stessa Rus di Kiev.
Un altro manoscritto risalente al X secolo, ad opera dello scrittore Ahmad Ibn Fadlan racconta il suo viaggio da Baghdad verso il Khanato Bulgaro e narra dei rapporti commerciali tra gli abitanti della regione e i mercati nordici, provenienti dalla Svezia, descrivendo minuziosamente anche i loro usi e le loro abitudini. Il Khanato di Rus’ fu un importante centro politico e la sua struttura sociale gravitava attorno alle popolazioni norrene, slave e finniche che lo componevano.
A seguito del processo di conversione al cristianesimo, i due principali Khanati Rus’ di Novgorod e Kiev furono unificati sotto un unico impero cristiano della Russia Occidentale, mentre andava acquisendo sempre maggiore importanza e influenza politica l’Impero Bizantino.
Nuove rotte commerciali furono tracciate, lungo il corso del Dnepr, utilizzate come collegamento diretto con il Mar Nero e Bisanzio. Nuove popolazioni si affacciavano nelle dinamiche politiche ed economiche dell’intera regione, tra cui i Cumani, tribù nomadi della steppa euroasiatica, la cui presenza è stata testimoniata anche nell’opera lirica di Aleksandr Borodin del 1887, basata sul poema epico Il canto della schiera di Igor, risalente al XII secolo.
Dalla disfatta inglese contro i normanni avvenuta durante la battaglia di Hastings nel 1066, molti anglosassoni privati delle loro terre giunsero nell’impero bizantino, andando ad infoltire la guardia variaga fedele all’imperatore. Fonti storiografiche indicano la presenza di uomini del nord in queste terre d’oriente ben oltre la fine dell’epoca vichinga, almeno fino al XV secolo. Presenza che viene fatta coincidere solitamente al 1453, anno della caduta di Costantinopoli ad opera di Maometto II.
Dalla Norvegia e dalla Danimarca l’espansione norrena si è diretta verso ovest, in Gran Bretagna, Irlanda e gli arcipelaghi atlantici delle isole Shetland, Ebridi e Orcadi, spingendosi più a nord, verso le Isole Faroe, l’Islanda e la Groenlandia, fino alle coste occidentali del Nord America. Dalla Svezia, invece, l’espansione scandinava si è diretta verso sud-est, in direzione del Mar Caspio, giungendo fino in Asia.
Seguendo il corso del Dnepr e del Volga, i primi contatti con i norreni partiti da Uppsala e dalla regione del Gotland si registrarono con la Confederazione Bulgara e il Khanato dei Cazari, la cui capitale Itil (nei pressi dell’attuale Astrakhan) esercitava la propria influenza dal Caucaso fino alla Crimea. Questo territorio oggi corrisponde all’attuale Kazakistan.
Nelle regioni settentrionali, invece, alcuni ritrovamenti archeologici hanno portato alla luce i resti di un insediamento svedese risalente al IX secolo a Staraya Ladoga, nei pressi di Leningrado.
La più antica, tra le fonti storiografiche circa i variaghi e in particolare i Rus’ di Kiev è l’Antica Cronaca degli Anni Passati, risalente al XII secolo, che narra del Khanato di Rus’ la cui capitale era Novgorod e che si espanse lungo il Dnepr, fino a Kiev. Ben presto il grosso delle attività commerciali si spostò da Novgorod a Kiev che di conseguenza vide l’ascesa della propria influenza in tutta la regione tra la Bulgaria e il regno Cazaro.
La storiografia tende a periodizzare il potere del nuovo centro politico della Rus’ di Kiev in tre diverse fasi, tra l’880 e il 1240.
La prima coincide con il Regno di Svjatoslav I autore dell’espansionismo di Kiev nella regione bulgara del Volga; la seconda fase (980 - 1054) rappresenta il periodo più fulgido di Kiev e coincide con il regno di Vladimir il Santo, colui che fu autore del processo di conversione al cristianesimo della popolazione di origine variaga e che proseguì la politica di espansione verso i territori a nord-ovest, compresi tra Polonia e Lituania; la terza fase, invece, ne segna la progressiva decadenza fino all’invasione mongola tra il 1234 e il 1240, e la fine della stessa Rus di Kiev.
Un altro manoscritto risalente al X secolo, ad opera dello scrittore Ahmad Ibn Fadlan racconta il suo viaggio da Baghdad verso il Khanato Bulgaro e narra dei rapporti commerciali tra gli abitanti della regione e i mercati nordici, provenienti dalla Svezia, descrivendo minuziosamente anche i loro usi e le loro abitudini. Il Khanato di Rus’ fu un importante centro politico e la sua struttura sociale gravitava attorno alle popolazioni norrene, slave e finniche che lo componevano.
A seguito del processo di conversione al cristianesimo, i due principali Khanati Rus’ di Novgorod e Kiev furono unificati sotto un unico impero cristiano della Russia Occidentale, mentre andava acquisendo sempre maggiore importanza e influenza politica l’Impero Bizantino.
Nuove rotte commerciali furono tracciate, lungo il corso del Dnepr, utilizzate come collegamento diretto con il Mar Nero e Bisanzio. Nuove popolazioni si affacciavano nelle dinamiche politiche ed economiche dell’intera regione, tra cui i Cumani, tribù nomadi della steppa euroasiatica, la cui presenza è stata testimoniata anche nell’opera lirica di Aleksandr Borodin del 1887, basata sul poema epico Il canto della schiera di Igor, risalente al XII secolo.
Dalla disfatta inglese contro i normanni avvenuta durante la battaglia di Hastings nel 1066, molti anglosassoni privati delle loro terre giunsero nell’impero bizantino, andando ad infoltire la guardia variaga fedele all’imperatore. Fonti storiografiche indicano la presenza di uomini del nord in queste terre d’oriente ben oltre la fine dell’epoca vichinga, almeno fino al XV secolo. Presenza che viene fatta coincidere solitamente al 1453, anno della caduta di Costantinopoli ad opera di Maometto II.
La presenza vichinga nel Mediterraneo
Nella loro espansione verso il continente europeo, i vichinghi non si limitarono agli arcipelaghi dell’Atlantico, tra il nord della Britannia e dell’Irlanda, né tantomeno alle terre francesi, ma proseguirono le loro esplorazioni più a sud, nel bacino del Mediterraneo.
Dopo aver attraversato lo stretto di Gibilterra, le prime incursioni si concentrarono lungo le coste della Galizia e dell’allora Emirato di Cordova. Le attività vichinghe, tra razzie o semplici scambi commerciali, continuarono in Spagna, verso la città di Murcia, fino a raggiungere le Isole Baleari, per risalire lungo le regioni attorno al Rodano e verso la Provenza, in Francia, mentre più a sud, proseguirono verso le coste del Marocco fino alla città di Nekor.
Da fonti arabe e dalle cronache del tempo provengono informazioni circa le navigazioni vichinghe nell’intero bacino del Mediterraneo, fino ad Alessandria e lungo i litorali della Grecia. Tra l’VIII e il IX secolo, anche l’Italia fu territorio di esplorazioni vichinghe, soprattutto le regioni del sud, come la Sicilia e le coste della Puglia e della Calabria.
Le documentazioni della presenza dei vichinghi nel Mediterraneo si trovano soprattutto nelle iscrizioni delle pietre runiche svedesi dove viene riportato il termine Grikkland (Grecia) e nelle fonti bizantine dell’epoca in cui si narra delle relazioni commerciali, culturali e tra i due popoli.
Nella loro espansione verso il continente europeo, i vichinghi non si limitarono agli arcipelaghi dell’Atlantico, tra il nord della Britannia e dell’Irlanda, né tantomeno alle terre francesi, ma proseguirono le loro esplorazioni più a sud, nel bacino del Mediterraneo.
Dopo aver attraversato lo stretto di Gibilterra, le prime incursioni si concentrarono lungo le coste della Galizia e dell’allora Emirato di Cordova. Le attività vichinghe, tra razzie o semplici scambi commerciali, continuarono in Spagna, verso la città di Murcia, fino a raggiungere le Isole Baleari, per risalire lungo le regioni attorno al Rodano e verso la Provenza, in Francia, mentre più a sud, proseguirono verso le coste del Marocco fino alla città di Nekor.
Da fonti arabe e dalle cronache del tempo provengono informazioni circa le navigazioni vichinghe nell’intero bacino del Mediterraneo, fino ad Alessandria e lungo i litorali della Grecia. Tra l’VIII e il IX secolo, anche l’Italia fu territorio di esplorazioni vichinghe, soprattutto le regioni del sud, come la Sicilia e le coste della Puglia e della Calabria.
Le documentazioni della presenza dei vichinghi nel Mediterraneo si trovano soprattutto nelle iscrizioni delle pietre runiche svedesi dove viene riportato il termine Grikkland (Grecia) e nelle fonti bizantine dell’epoca in cui si narra delle relazioni commerciali, culturali e tra i due popoli.
Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo
Al termine di quella che viene definita l’epoca vichinga, si era innescato un nuovo percorso sociale che vide affermarsi due forti poteri centrali: lo Stato e la Chiesa, in virtù del suo ruolo politico sempre più marcato.
Fino a quel momento, nella Scandinavia continentale, la nazionalizzazione dei territori non aveva ancora avuto sviluppo, a causa della tradizione tribale che per secoli aveva permeato la società nordica, ancora legata a legami e alleanze tra famiglie potenti e agli interessi economici che ne derivavano.
Questo retaggio del passato fece sì che l’insediamento strutturale di un potere centralizzato poté avvenire soltanto grazie al sostegno da parte delle sfere ecclesiastiche.
L’organizzazione strutturale dei nuovi stati nordici influì profondamente nei cambiamenti sociali all’interno delle diverse comunità. La nascita di una classe nobile ebbe le prime ripercussioni sulle popolazioni locali: i terreni che da sempre segnavano un prestigio sociale per i legittimi possessori, passarono dai contadini ai nuovi proprietari designati dal Re, determinando una simbolica perdita di peso della stessa classe contadina, rispetto alla vecchia organizzazione tribale. Inoltre, fu istituito un nuovo sistema fiscale, dove il versamento di denaro passò da consuetudine a obbligo di legge.
I grandi cambiamenti derivati dalla nascita dei nuovi stati scandinavi non impattarono solamente sulla sfera sociale, ma ebbero importanti riflessi anche nell’ambito dell’ordinamento legislativo e determinarono la definitiva dissoluzione dell’antica struttura sociale nordica, sopravvissuta fino all’epoca vichinga.
Al termine di quella che viene definita l’epoca vichinga, si era innescato un nuovo percorso sociale che vide affermarsi due forti poteri centrali: lo Stato e la Chiesa, in virtù del suo ruolo politico sempre più marcato.
Fino a quel momento, nella Scandinavia continentale, la nazionalizzazione dei territori non aveva ancora avuto sviluppo, a causa della tradizione tribale che per secoli aveva permeato la società nordica, ancora legata a legami e alleanze tra famiglie potenti e agli interessi economici che ne derivavano.
Questo retaggio del passato fece sì che l’insediamento strutturale di un potere centralizzato poté avvenire soltanto grazie al sostegno da parte delle sfere ecclesiastiche.
L’organizzazione strutturale dei nuovi stati nordici influì profondamente nei cambiamenti sociali all’interno delle diverse comunità. La nascita di una classe nobile ebbe le prime ripercussioni sulle popolazioni locali: i terreni che da sempre segnavano un prestigio sociale per i legittimi possessori, passarono dai contadini ai nuovi proprietari designati dal Re, determinando una simbolica perdita di peso della stessa classe contadina, rispetto alla vecchia organizzazione tribale. Inoltre, fu istituito un nuovo sistema fiscale, dove il versamento di denaro passò da consuetudine a obbligo di legge.
I grandi cambiamenti derivati dalla nascita dei nuovi stati scandinavi non impattarono solamente sulla sfera sociale, ma ebbero importanti riflessi anche nell’ambito dell’ordinamento legislativo e determinarono la definitiva dissoluzione dell’antica struttura sociale nordica, sopravvissuta fino all’epoca vichinga.
Il processo di cristianizzazione delle popolazioni norrene ha sancito di fatto la fine dell’epoca vichinga. È stato un percorso lungo e complesso che vien fatto risalire ai primi anni del IX Secolo.
Questa integrazione aprì nuovi orizzonti per le popolazioni del Nord ed ebbe importanti ripercussioni su vari aspetti culturali.
Le Rune
Gli studiosi hanno definito la scrittura runica come un sistema epigrafico, caratterizzato da incisioni (più frequentemente su legno, pietra e monete, ma anche su osso, armi o gioielli) riconducibili al ceppo linguistico germanico. Si tratta di un modello di scrittura la cui riproduzione fonetica avviene tramite singoli caratteri, detti “Rune” e nel caso in cui una sequenza runica venga elaborata secondo l’ordine alfabetico latino, si adotta l’accezione di “alfabeto runico”, come si evidenzia nei manoscritti dell’VIII secolo.
Proprio a questo periodo risalgono le prime forme di testi runici più articolati su steli, pietre funerarie e altri oggetti di culto.
La natura epigrafico-archeologica dei reperti runici, se da un lato pone interrogativi sui criteri di datazione e la cronologia dei reperti stessi (le prime testimonianze di scrittura runica risalirebbero al I secolo), suggerisce un campo di indigine interdisciplinare tra storia, archeologia, linguistica, epigrafia e filologia.
Un’altra criticità legata al mondo della scrittura runica riguarda le modalità di trasmissione e i soggetti che ne hanno diffuso la cultura. Gli studiosi fanno risalire le prime iscrizioni runiche alle regioni settentrionale dell’Europa continentale, tra la Germania e la Danimarca, da dove si sarebbero diffuse in Scandinavia, suggerendo che la scrittura runica sia stata originariamente un sistema di scrittura comune tra le diverse popolazioni germaniche, ovviamente con i vari distinguo etno-geografici.
Gli studiosi hanno definito la scrittura runica come un sistema epigrafico, caratterizzato da incisioni (più frequentemente su legno, pietra e monete, ma anche su osso, armi o gioielli) riconducibili al ceppo linguistico germanico. Si tratta di un modello di scrittura la cui riproduzione fonetica avviene tramite singoli caratteri, detti “Rune” e nel caso in cui una sequenza runica venga elaborata secondo l’ordine alfabetico latino, si adotta l’accezione di “alfabeto runico”, come si evidenzia nei manoscritti dell’VIII secolo.
Proprio a questo periodo risalgono le prime forme di testi runici più articolati su steli, pietre funerarie e altri oggetti di culto.
La natura epigrafico-archeologica dei reperti runici, se da un lato pone interrogativi sui criteri di datazione e la cronologia dei reperti stessi (le prime testimonianze di scrittura runica risalirebbero al I secolo), suggerisce un campo di indigine interdisciplinare tra storia, archeologia, linguistica, epigrafia e filologia.
Un’altra criticità legata al mondo della scrittura runica riguarda le modalità di trasmissione e i soggetti che ne hanno diffuso la cultura. Gli studiosi fanno risalire le prime iscrizioni runiche alle regioni settentrionale dell’Europa continentale, tra la Germania e la Danimarca, da dove si sarebbero diffuse in Scandinavia, suggerendo che la scrittura runica sia stata originariamente un sistema di scrittura comune tra le diverse popolazioni germaniche, ovviamente con i vari distinguo etno-geografici.
La descrizione dei reperti runici si basa, solitamente, sul criterio comune di analisi, in funzione della tipologia dell’oggetto, il contesto
del ritrovamento, il testo e le caratteristiche dell’iscrizione e, nel caso siano disponibile fonti attendibili, collegamenti con eventuali altri testi epigrafici o letterari.
Ad oggi sono state rese note circa 6.500 iscrizioni, tra quelle provenienti da ritrovamenti archeologici, quelle conservate nei musei (incisioni su gioielli, armi, monete o bratteati, manufatti sul modello di medaglioni di origine romana) e quelle recuperate tramite riproduzioni pittoriche provenienti da antichi antiquari.
L’interpretazione etimologica del termine “Rune” suggerisce un significato legato al verbo Raunen, che può essere inteso come sussurrare o bisbigliare, interpretazione che riporta ad una dimensione magico-religiosa della letteratura nordica, come il discorso di Odino nell’Hávamál, il secondo canto dell’Edda poetica.
La sequenza runica prende il nome di Fuþark, dai primi sei simboli che la compongono: Fehu, Uruz, Þurisaz, Ansuz, Raido e Kaunan. Originariamente il Fuþark, era composto da 24 simboli, la cui forma spigolosa rimanda all’arte dell’intaglio, tipica delle popolazioni nordiche.
Ad oggi sono state rese note circa 6.500 iscrizioni, tra quelle provenienti da ritrovamenti archeologici, quelle conservate nei musei (incisioni su gioielli, armi, monete o bratteati, manufatti sul modello di medaglioni di origine romana) e quelle recuperate tramite riproduzioni pittoriche provenienti da antichi antiquari.
L’interpretazione etimologica del termine “Rune” suggerisce un significato legato al verbo Raunen, che può essere inteso come sussurrare o bisbigliare, interpretazione che riporta ad una dimensione magico-religiosa della letteratura nordica, come il discorso di Odino nell’Hávamál, il secondo canto dell’Edda poetica.
La sequenza runica prende il nome di Fuþark, dai primi sei simboli che la compongono: Fehu, Uruz, Þurisaz, Ansuz, Raido e Kaunan. Originariamente il Fuþark, era composto da 24 simboli, la cui forma spigolosa rimanda all’arte dell’intaglio, tipica delle popolazioni nordiche.
Nel tempo, in Scandinavia l’alfabeto runico si ridusse fino ad arrivare, durante l’epoca vichinga, ad un totale di 16 simboli. Esistono diverse versioni della sequenza runica, varianti in funzione del contesto storico e geografico. Ad esempio, nell’area anglosassone, il Fuþorc fu ampliato fino a 33 simboli e anche nella regione dei Frisoni, tra i Paesi Bassi e le coste settentrionali della Germania, dai reperti archeologici rinvenuti, si stima che ci sia stata una forma di scrittura runica autonoma.
Questa connotazione regionale del sistema di scrittura runico e la molteplicità delle sue varianti implica l’impossibilità di stabilire uno standard comune. Anche il fattore temporale incide in tal senso, se si pensa che delle iscrizioni runiche scandinave sono databili all’epoca pre-vichinga, mentre la maggior parte risulta essere frutto di un processo di conservazione dell’identità culturale a seguito della conversione al cristianesimo e la conseguente latinizzazione della scrittura.
Questa connotazione regionale del sistema di scrittura runico e la molteplicità delle sue varianti implica l’impossibilità di stabilire uno standard comune. Anche il fattore temporale incide in tal senso, se si pensa che delle iscrizioni runiche scandinave sono databili all’epoca pre-vichinga, mentre la maggior parte risulta essere frutto di un processo di conservazione dell’identità culturale a seguito della conversione al cristianesimo e la conseguente latinizzazione della scrittura.
Letteratura e mitologia
Il paganesimo scandinavo possedeva un patrimonio mitologico e religioso molto ampio che affondava le proprie radici nella più vasta cultura germanica.
Rispetto alla Scandinavia, il mondo germanico continentale aveva subito la conversione al cristianesimo già secoli prima e ciò aveva di fatto portato al crollo della cultura pagana, la cui tradizione si era ineluttabilmente mescolata a quella cristiana.
Il processo di cristianizzazione che si andò sviluppando nei territori scandinavi e la sua successiva alfabetizzazione, sottolinea come il patrimonio letterario nordico fu trascritto in un’epoca in cui il paganesimo era ormai tramontato e di conseguenza anche gli stessi autori furono condizionati dall’influsso della cultura cristiana.
Tra le opere fondamentali della mitologia nordica si annoverano:
Il paganesimo scandinavo possedeva un patrimonio mitologico e religioso molto ampio che affondava le proprie radici nella più vasta cultura germanica.
Rispetto alla Scandinavia, il mondo germanico continentale aveva subito la conversione al cristianesimo già secoli prima e ciò aveva di fatto portato al crollo della cultura pagana, la cui tradizione si era ineluttabilmente mescolata a quella cristiana.
Il processo di cristianizzazione che si andò sviluppando nei territori scandinavi e la sua successiva alfabetizzazione, sottolinea come il patrimonio letterario nordico fu trascritto in un’epoca in cui il paganesimo era ormai tramontato e di conseguenza anche gli stessi autori furono condizionati dall’influsso della cultura cristiana.
Tra le opere fondamentali della mitologia nordica si annoverano:
· Gesta Danorum, opera composta da 16 libri, scritta tra l’XI e il XII secolo, da un autore sostanzialmente ignoto che viene comunemente indicato come Saxo Grammaticus· Edda Poetica, opera risalente al XIII secolo, raggruppa 29 canti, suddivisi in due parti: i carmi degli dèi e i carmi degli eroi. Il vescovo Brynjólfur Sveinsson ne attribuì arbitrariamente la paternità a Sæmundr Sigfússon, un erudito chierico medievale. Il manoscritto islandese fu donato al re di Danimarca Federico III nel 1662 e fu ribattezzato Codex Regius. Conservato nella Biblioteca Reale di Copenaghen, fu restituito all’Islanda nel 1971.· Edda in Prosa, opera risalente al XIII secolo, trascritta dallo storico Snorri Sturluson, composta da un prologo (Fyrirsögn ok Formáli), in cui si rende evidente l’estrazione di matrice cristiana dell’autore, seguito da tre parti: Gylfaginning (L’Inganno di Gylfi) nella quale viene narrato l’incontro tra il re svedese Gylfi e Odino, nelle vesti di una triplice divinità; Skáldskaparmál (Dialogo sull'arte poetica), un immaginario dialogo tra divinità durante un banchetto nella dimora degli dèi; Háttatal (Trattato a riguardo dei metri poetici) un esercizio di stile per descrivere l’arte dei poeti (Skal), sopravvissuta alla fine dell’epoca vichinga.· Saghe e Racconti minori, insieme di alcuni componimenti di carattere mitologico, accostabili per tipologia di contenuto all’Edda poetica, ma che non sono stati contenuti in tale manoscritto: I Sogni di Baldr (Baldrs draumar); Il carme di Rigr (Rígsþula) che narra la discesa tra gli uomini del dio Heimdallr; Il canto magico di Hyndla (Hyndluljóð); Il discorso di Svipdag (Svipdagsmál), composto a sua volta da Il Canto Magico di Gróa (Gróagaldr) e da Il discorso di Fjölsviðr (Fjölsvinnsmál); il canto di Grotti (Gróttasöngr) legato al mito del magico mulino di Fróði.
Quello delle Saghe fu un sistema di scrittura diffuso soprattutto in Norvegia e Islanda. Qui, l’esigenza di ricordare le proprie radici, di ribadire la propria identità culturale o semplicemente la necessità di creare una vera e propria comunità spinsero la classe più erudita a tramandare e raccogliere notizie su coloro che diedero inizio alla loro storia, a seguito della colonizzazione dell’isola.
Da esse provengono le principali informazioni in materia di consuetudini sociali e giuridiche, di tradizioni magiche e folkloristiche, nonché le credenze mitologiche o riconducibili altresì alla sfera religiosa.
Generalmente, le storie narrate prediligono contenuti di carattere drammatico, in scia alla tradizione epica in cui vengono esaltati i valori della fedeltà alla propria stirpe e l’accettazione del destino, dove è ricorrente lo stereotipo della premonizione. La figura dell’eroe, pertanto, viene descritta con caratteristiche di coraggio, lealtà, intraprendenza e senso di giustizia, doti che potranno assicuragli la fama anche dopo la morte, conservandone la memoria.
Generalmente, le storie narrate prediligono contenuti di carattere drammatico, in scia alla tradizione epica in cui vengono esaltati i valori della fedeltà alla propria stirpe e l’accettazione del destino, dove è ricorrente lo stereotipo della premonizione. La figura dell’eroe, pertanto, viene descritta con caratteristiche di coraggio, lealtà, intraprendenza e senso di giustizia, doti che potranno assicuragli la fama anche dopo la morte, conservandone la memoria.
Gesta Danorum
Le informazioni circa l’autore del Gesta Danorum sono molto scarse, tanto che il suo stesso nome ha un’attestazione fittizia: Saxo è un nome personale assai diffuso nelle iscrizioni runiche, nelle saghe e nelle cronache del tempo, mentre Grammaticus è un termine che gli è stata associato successivamente, per via della sua ampia erudizione della lingua latina, introdotta durante il processo di cristianizzazione delle popolazioni scandinave.
Tra le opere più rappresentative del medioevo scandinavo, il Gesta Danorum presenta una struttura descrittiva marcatamente riconducibile agli elementi della mitologia nordica, in cui il vento e le acque assumono una veste metaforica assai rilevante nel rappresentare il corso avventuroso e pericoloso delle vicende narrate.
Per i protagonisti, il destino diventa ago della bilancia tra rovina o successo, inteso non come conseguenza ineluttabile dell’imprevedibilità delle vicende, ma piuttosto come senso più profondo e complesso del presente, ponendo l’attenzione sul rapporto tra ciò che si vive e ciò che è stato vissuto e si ricorda.
La storiografia esposta nelle Gesta Danorum, così come più in generale quella dell’Alto Medioevo, è indirizzata più verso la spettacolarizzazione anziché verso la documentazione, innescando una drammatizzazione degli eventi tale da indirizzare il lettore verso la sfera dell’immaginazione piuttosto che verso quella del verosimile.
Tra le opere più rappresentative del medioevo scandinavo, il Gesta Danorum presenta una struttura descrittiva marcatamente riconducibile agli elementi della mitologia nordica, in cui il vento e le acque assumono una veste metaforica assai rilevante nel rappresentare il corso avventuroso e pericoloso delle vicende narrate.
Per i protagonisti, il destino diventa ago della bilancia tra rovina o successo, inteso non come conseguenza ineluttabile dell’imprevedibilità delle vicende, ma piuttosto come senso più profondo e complesso del presente, ponendo l’attenzione sul rapporto tra ciò che si vive e ciò che è stato vissuto e si ricorda.
La storiografia esposta nelle Gesta Danorum, così come più in generale quella dell’Alto Medioevo, è indirizzata più verso la spettacolarizzazione anziché verso la documentazione, innescando una drammatizzazione degli eventi tale da indirizzare il lettore verso la sfera dell’immaginazione piuttosto che verso quella del verosimile.
L’opera, come accade per gli altri componimenti della mitologia nordica, propone una connotazione evemeristica delle divinità per conciliare l’antica tradizione pagana scandinava con il “nuovo” cristianesimo professato. In tal senso, le figure delle due grandi famiglie di Déi, gli Asi e i Vani, vengono descritte come soggetti mortali divinizzati.
Nella stesura dei diversi libri che compongono l’intera opera, l’autore descrive degli stessi Déi in chiave evoluzionistica, passando da figura di fiere divinità nei primi libri, a “daemones” nel libro XIV, come a rimarcare un parallelismo con il passaggio dalla tradizione pagana al cristianesimo introdotto nella società scandinava.Codex Regius (Edda Poetica)
L’Edda antica, ribattezzata successivamente Codex Regius è un’antologia che racchiude una serie di componimenti datati tra il IX e il XII secolo. Di questi scritti non si hanno informazioni certe circa gli autori, ma gli studiosi ne hanno attribuito la paternità a diversi poeti sotto il termine generico di Skald: da qui il nome di Edda Poetica.
Un elemento comune tra i diversi canti che compongono questa raccolta è la concezione del destino come qualcosa di predeterminato, sia per gli uomini, sia per gli Dèi.
Nonostante i componimenti siano stati scritti sotto l’influenza culturale del cristianesimo, già penetrato nelle regioni scandinave al momento delle trascrizioni dei singoli canti, questo elemento fa sì che restino vivi i caratteri più rappresentativi della antica tradizione pagana nordica.
Nei testi, se da una parte i Canti degli Eroi narrano epicamente le vicende degli uomini, dall’altra, nei testi vengono costantemente richiamate quelle figure, oltre agli Dèi, care alla mitologia nordica come nani, troll e giganti, e non mancano importanti riferimenti alle rune e più in generale alla sfera magico-sciamanica.
I primi due canti dell’Edda poetica sono generalmente considerati i più importanti e rappresentativi: Vǫluspá, La profezia della Veggente e Hávamál, Discorsi dell’Alto,
Vǫluspá racconta un monologo visionario di una veggente della stirpe dei Giganti durante il quale descrive inizialmente l’origine del cosmo, per passare successivamente alla creazione degli uomini, qui rappresentata come elemento di instabilità nell’ordine cosmico, introducendo di conseguenza il caos derivante dall’affermarsi delle pratiche magiche tra gli uomini e dalla disparità di onori resi agli Dèi.
Il canto prosegue suggerendo il parallelismo con l’Apocalisse di Giovanni proveniente dalla tradizione cristiana, concetto di fine del mondo introdotto nell’opera con la narrazione della morte di Baldr, il dio della luce e culmina nella escatologia del Ragnarök e la successiva nascita di un nuovo mondo.
Il secondo canto del Codex Regius, Hávamál, il cui nome può essere tradotto come “Le parole di Odino”, è un componimento di 164 strofe suddivise in sette capitoli:
Gestaþáttr, il capitolo degli ospiti [str. 1-80]; Mansǫngr, il capitolo degli uomini [str. 81-95]; Billingsmeyarþáttr, il capitolo del corteggiamento di Odino [str. 96-103]; Gunnlaðarþáttr, il capitolo della conquista di mjǫðr, la conoscenza poetica [str. 104-110]; Loddfáfnismál, il capitolo in cui attraverso il simbolismo della cosmologia, si introducono i temi dei capitoli successivi, incentrati sulla sfera magico-rituale [str. 111- 137]; Rúnatal, il capitolo in cui appaiono i primi simboli iniziatici per descrivere il sacrificio di Odino, legatosi all’albero del mondo Yggdrasill, per acquisire la conoscenza delle rune [str.138-145]; Ljóðatal, il capitolo dei canti runici, in cui si espone in maniera simbolica l’idea dei poteri che questi canti possono trasmettere [str. 146-164].
Questi canti a differenza degli altri scritti scaldici non hanno una connotazione di eroico o divino, ma si concentrano sulla figura del singolo individuo e della fama che egli stesso si costruisce, argomentando su principi di vita quotidiana come amicizia, moderazione e saggezza.
Alcuni interrogativi circa le origini di questo carme hanno suscitato diverse teorie in merito al fatto che si tratta di un’opera derivante dall’antica tradizione nordica o se sia stato influenzato dalla cultura classica di origine cristiana, se la sua provenienza sia islandese oppure norvegese, ma una sua approfondita analisi critica, suggerisce che gli scritti degli Hávamál siano la summa di dottrine che fondano le proprie radici nel paganesimo nordico.
L’Edda antica, ribattezzata successivamente Codex Regius è un’antologia che racchiude una serie di componimenti datati tra il IX e il XII secolo. Di questi scritti non si hanno informazioni certe circa gli autori, ma gli studiosi ne hanno attribuito la paternità a diversi poeti sotto il termine generico di Skald: da qui il nome di Edda Poetica.
Un elemento comune tra i diversi canti che compongono questa raccolta è la concezione del destino come qualcosa di predeterminato, sia per gli uomini, sia per gli Dèi.
Nonostante i componimenti siano stati scritti sotto l’influenza culturale del cristianesimo, già penetrato nelle regioni scandinave al momento delle trascrizioni dei singoli canti, questo elemento fa sì che restino vivi i caratteri più rappresentativi della antica tradizione pagana nordica.
Nei testi, se da una parte i Canti degli Eroi narrano epicamente le vicende degli uomini, dall’altra, nei testi vengono costantemente richiamate quelle figure, oltre agli Dèi, care alla mitologia nordica come nani, troll e giganti, e non mancano importanti riferimenti alle rune e più in generale alla sfera magico-sciamanica.
I primi due canti dell’Edda poetica sono generalmente considerati i più importanti e rappresentativi: Vǫluspá, La profezia della Veggente e Hávamál, Discorsi dell’Alto,
Vǫluspá racconta un monologo visionario di una veggente della stirpe dei Giganti durante il quale descrive inizialmente l’origine del cosmo, per passare successivamente alla creazione degli uomini, qui rappresentata come elemento di instabilità nell’ordine cosmico, introducendo di conseguenza il caos derivante dall’affermarsi delle pratiche magiche tra gli uomini e dalla disparità di onori resi agli Dèi.
Il canto prosegue suggerendo il parallelismo con l’Apocalisse di Giovanni proveniente dalla tradizione cristiana, concetto di fine del mondo introdotto nell’opera con la narrazione della morte di Baldr, il dio della luce e culmina nella escatologia del Ragnarök e la successiva nascita di un nuovo mondo.
Il secondo canto del Codex Regius, Hávamál, il cui nome può essere tradotto come “Le parole di Odino”, è un componimento di 164 strofe suddivise in sette capitoli:
Gestaþáttr, il capitolo degli ospiti [str. 1-80]; Mansǫngr, il capitolo degli uomini [str. 81-95]; Billingsmeyarþáttr, il capitolo del corteggiamento di Odino [str. 96-103]; Gunnlaðarþáttr, il capitolo della conquista di mjǫðr, la conoscenza poetica [str. 104-110]; Loddfáfnismál, il capitolo in cui attraverso il simbolismo della cosmologia, si introducono i temi dei capitoli successivi, incentrati sulla sfera magico-rituale [str. 111- 137]; Rúnatal, il capitolo in cui appaiono i primi simboli iniziatici per descrivere il sacrificio di Odino, legatosi all’albero del mondo Yggdrasill, per acquisire la conoscenza delle rune [str.138-145]; Ljóðatal, il capitolo dei canti runici, in cui si espone in maniera simbolica l’idea dei poteri che questi canti possono trasmettere [str. 146-164].
Questi canti a differenza degli altri scritti scaldici non hanno una connotazione di eroico o divino, ma si concentrano sulla figura del singolo individuo e della fama che egli stesso si costruisce, argomentando su principi di vita quotidiana come amicizia, moderazione e saggezza.
Alcuni interrogativi circa le origini di questo carme hanno suscitato diverse teorie in merito al fatto che si tratta di un’opera derivante dall’antica tradizione nordica o se sia stato influenzato dalla cultura classica di origine cristiana, se la sua provenienza sia islandese oppure norvegese, ma una sua approfondita analisi critica, suggerisce che gli scritti degli Hávamál siano la summa di dottrine che fondano le proprie radici nel paganesimo nordico.
Edda in Prosa
L’Edda in Prosa è un’opera attribuita allo storico erudito Snorri Sturluson, risalente al XIII secolo.
In questi scritti, leggenda e mito si fondono con la tradizione religiosa, in un unico modello presentato come prospettiva del passato, evidenziando l’influenza culturale derivante dal processo di cristianizzazione iniziato secoli prima.
L’elemento più interessante dell’Edda in Prosa è proprio il contesto a cui l’opera stessa fa riferimento: la società islandese, nata dalla colonizzazione dell’isola tra il IX e il X secolo, da parte di esuli norvegesi spinti oltre che dal desiderio di esplorare nuovi mondi e dalla brama di successo, anche per sfuggire alla nuova struttura sociale che si stava definendo sulle basi della nuova religione cristiana.
La società islandese era stata costituita sulla base dell’antica comunità norvegese, con i suoi modelli culturali, i suoi culti e le sue leggi. In questo contesto per più di un secolo furono tramandate le antiche tradizioni letterarie degli skaldi.
Considerando che l’Edda è stata concepita da Snorri Sturluson quasi due secoli dopo l’arrivo del cristianesimo in Islanda, è interessante notare come negli scritti si sia mantenuta la coesione culturale originaria pagana.
In Islanda il cristianesimo, soprattutto nella prima fase di inserimento nelle comunità locali, è stato inficiato nel suo vigore dogmatico a causa della sua stessa introduzione, imposta per interessi politici e soprattutto per essere stato accolto in una visione sostanzialmente ancora politeistica della sfera religiosa.
L’Edda in Prosa è un’opera attribuita allo storico erudito Snorri Sturluson, risalente al XIII secolo.
In questi scritti, leggenda e mito si fondono con la tradizione religiosa, in un unico modello presentato come prospettiva del passato, evidenziando l’influenza culturale derivante dal processo di cristianizzazione iniziato secoli prima.
L’elemento più interessante dell’Edda in Prosa è proprio il contesto a cui l’opera stessa fa riferimento: la società islandese, nata dalla colonizzazione dell’isola tra il IX e il X secolo, da parte di esuli norvegesi spinti oltre che dal desiderio di esplorare nuovi mondi e dalla brama di successo, anche per sfuggire alla nuova struttura sociale che si stava definendo sulle basi della nuova religione cristiana.
La società islandese era stata costituita sulla base dell’antica comunità norvegese, con i suoi modelli culturali, i suoi culti e le sue leggi. In questo contesto per più di un secolo furono tramandate le antiche tradizioni letterarie degli skaldi.
Considerando che l’Edda è stata concepita da Snorri Sturluson quasi due secoli dopo l’arrivo del cristianesimo in Islanda, è interessante notare come negli scritti si sia mantenuta la coesione culturale originaria pagana.
In Islanda il cristianesimo, soprattutto nella prima fase di inserimento nelle comunità locali, è stato inficiato nel suo vigore dogmatico a causa della sua stessa introduzione, imposta per interessi politici e soprattutto per essere stato accolto in una visione sostanzialmente ancora politeistica della sfera religiosa.
Probabilmente un termine in antico norreno per indicare il concetto proprio del mito non esiste, ma nel caso dell’Edda di Snorri Sturluson il termine più appropriato potrebbe essere “ricordo”.
La memoria, intesa come mezzo di conferma della realtà, si interseca con il tempo del mito fino alla sua origine divina.
Questa chiave di lettura suggerisce che concetto di memoria ha rappresentato per l’autore la dimensione più vicina alla figura del mito, soprattutto in un contesto culturale in cui le suggestioni erano definite da aspetti di credenze religiose opposte più nelle forme che non nei contenuti.
La memoria, intesa come mezzo di conferma della realtà, si interseca con il tempo del mito fino alla sua origine divina.
Questa chiave di lettura suggerisce che concetto di memoria ha rappresentato per l’autore la dimensione più vicina alla figura del mito, soprattutto in un contesto culturale in cui le suggestioni erano definite da aspetti di credenze religiose opposte più nelle forme che non nei contenuti.
Saghe scandinave, memoria e identità collettiva
A completare il vasto panorama della letteratura medievale scandinava ci sono le Saghe, componimenti scritti a memoria di quell’identità collettiva che in qualche modo si voleva tutelare e conservare. Le Saghe costituiscono una delle maggiori tradizioni letterarie del medioevo europeo e in particolare la produzione islandese fu tra le maggiori di tutta la Scandinavia. Queste opere hanno suscitato da sempre un controverso dibattito in termini filologici, in merito alla loro stessa natura, tra coloro che le ritengono semplici storie di trasmissione orale e coloro che le considerano storie derivate da fonti scritte, come semplici creazioni artistiche, ma non utilizzabili per una ricostruzione storica. Ancora oggi, varie ipotesi sulle origini di questi scritti alimentano il dibattito filologico, seppur con una maggiore consapevolezza della scarsità di informazioni certe, precedenti al XII secolo.
A completare il vasto panorama della letteratura medievale scandinava ci sono le Saghe, componimenti scritti a memoria di quell’identità collettiva che in qualche modo si voleva tutelare e conservare. Le Saghe costituiscono una delle maggiori tradizioni letterarie del medioevo europeo e in particolare la produzione islandese fu tra le maggiori di tutta la Scandinavia. Queste opere hanno suscitato da sempre un controverso dibattito in termini filologici, in merito alla loro stessa natura, tra coloro che le ritengono semplici storie di trasmissione orale e coloro che le considerano storie derivate da fonti scritte, come semplici creazioni artistiche, ma non utilizzabili per una ricostruzione storica. Ancora oggi, varie ipotesi sulle origini di questi scritti alimentano il dibattito filologico, seppur con una maggiore consapevolezza della scarsità di informazioni certe, precedenti al XII secolo.
Il fatto che il sostantivo Saga deriva dal termine Segja, traducibile con il verbo dire, supporta l’ipotesi di un genere letterario basato su una storia “detta”, in quanto narrata e tramandata oralmente. A tal proposito, gli studiosi sono solitamente propensi a prendere in considerazione gli scritti che presentano maggiori collegamenti con la realtà storica.
L’ingresso dei popoli scandinavi nel sistema culturale europeo, derivato dalla latinizzazione conseguente al processo di conversione al cristianesimo, ha rappresentato un elemento fondamentale per lo sviluppo della letteratura nordica.
Ciò non significa che venissero scritti testi in latino anche in Islanda, ma nonostante la carenza di fonti documentarie, la nuova istituzione ecclesiastica ha avuto un delicato ruolo di mediatrice tra le tradizioni letterarie continentali e il contesto locale.
Di conseguenza, le saghe, intese come opere letterarie frutto di accurate rielaborazioni scritte, assumevano un significato che andava verosimilmente oltre il mero intrattenimento, quale espressione di finalità di varia natura, come la legittimazione del potere di determinate stirpi o l’esaltazione di determinati valori condivisi nell’ambito delle comunità locali.
Gli studiosi fanno risalire le più antiche testimonianze di Saghe in forma scritta, attorno alla metà del XIII secolo, quali rielaborazioni di manoscritti più antichi, andati perduti nel tempo, spesso a causa di un naturale logoramento dovuto a non adeguate condizioni di conservazione.
Il termine saga, in epoca moderna, viene comunemente associato a forme narrative in prosa, che però si differenziano tra loro per argomenti, caratteristiche stilistiche e per differenti approcci all’elaborazione della memoria e alla ricostruzione storica.
Generalmente, in base ai parametri storiografici più comuni, queste forme narrative vengono classificate in diversi gruppi:
Saghe dei Santi, agiografie tradotte principalmente dai modelli latini, in relazione ai canoni della Chiesa romana, il cui culto era diffuso nel continente europeo, mentre la questione delle traduzioni si complica per le figure di santi scandinavi, non sempre riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa;
Saghe dei Re, scritti di carattere storiografico, risalenti a partire dalla prima metà del XII secolo, in cui si narrano le vicende dei sovrani scandinavi e delle loro dinastie. Gli scritti di questa categoria presentano una esaltazione in particolare, delle figure dei re evangelizzatori, enfatizzando gli aspetti legati alla conversione delle popolazioni locali verso il nuovo culto del cristianesimo;
Saghe degli Islandesi, sono le più note nell’ambito di questo genere narrativo e si caratterizzano sulla base di parametri essenzialmente spaziali e temporali in quanto narrano, in uno stile prettamente realistico, le storie dei primi colonizzatori dell’Islanda, attorno dal 930, fino ai primi decenni dell’XI secolo, dopo il definitivo processo di conversione al cristianesimo.
Alcune di queste saghe, ampliando gli orizzonti geografici, narrano le vicende legate ai vichinghi di Jomsborg, lungo le coste baltiche o agli insediamenti in Groenlandia e all’esplorazione verso ovest, nel Vinland. A differenza delle altre saghe, incentrate prevalentemente su temi legati a faide tra diversi clan, gli scritti della Vinlandia trattano di esplorazioni e viaggi che hanno portato i vichinghi immigrati dalla Norvegia e successivamente dall'Islanda e dalla Groenlandia, sulle coste orientali del Canada, in particolare nella regione di Terranova.
L’ingresso dei popoli scandinavi nel sistema culturale europeo, derivato dalla latinizzazione conseguente al processo di conversione al cristianesimo, ha rappresentato un elemento fondamentale per lo sviluppo della letteratura nordica.
Ciò non significa che venissero scritti testi in latino anche in Islanda, ma nonostante la carenza di fonti documentarie, la nuova istituzione ecclesiastica ha avuto un delicato ruolo di mediatrice tra le tradizioni letterarie continentali e il contesto locale.
Di conseguenza, le saghe, intese come opere letterarie frutto di accurate rielaborazioni scritte, assumevano un significato che andava verosimilmente oltre il mero intrattenimento, quale espressione di finalità di varia natura, come la legittimazione del potere di determinate stirpi o l’esaltazione di determinati valori condivisi nell’ambito delle comunità locali.
Gli studiosi fanno risalire le più antiche testimonianze di Saghe in forma scritta, attorno alla metà del XIII secolo, quali rielaborazioni di manoscritti più antichi, andati perduti nel tempo, spesso a causa di un naturale logoramento dovuto a non adeguate condizioni di conservazione.
Il termine saga, in epoca moderna, viene comunemente associato a forme narrative in prosa, che però si differenziano tra loro per argomenti, caratteristiche stilistiche e per differenti approcci all’elaborazione della memoria e alla ricostruzione storica.
Generalmente, in base ai parametri storiografici più comuni, queste forme narrative vengono classificate in diversi gruppi:
Saghe dei Santi, agiografie tradotte principalmente dai modelli latini, in relazione ai canoni della Chiesa romana, il cui culto era diffuso nel continente europeo, mentre la questione delle traduzioni si complica per le figure di santi scandinavi, non sempre riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa;
Saghe dei Re, scritti di carattere storiografico, risalenti a partire dalla prima metà del XII secolo, in cui si narrano le vicende dei sovrani scandinavi e delle loro dinastie. Gli scritti di questa categoria presentano una esaltazione in particolare, delle figure dei re evangelizzatori, enfatizzando gli aspetti legati alla conversione delle popolazioni locali verso il nuovo culto del cristianesimo;
Saghe degli Islandesi, sono le più note nell’ambito di questo genere narrativo e si caratterizzano sulla base di parametri essenzialmente spaziali e temporali in quanto narrano, in uno stile prettamente realistico, le storie dei primi colonizzatori dell’Islanda, attorno dal 930, fino ai primi decenni dell’XI secolo, dopo il definitivo processo di conversione al cristianesimo.
Alcune di queste saghe, ampliando gli orizzonti geografici, narrano le vicende legate ai vichinghi di Jomsborg, lungo le coste baltiche o agli insediamenti in Groenlandia e all’esplorazione verso ovest, nel Vinland. A differenza delle altre saghe, incentrate prevalentemente su temi legati a faide tra diversi clan, gli scritti della Vinlandia trattano di esplorazioni e viaggi che hanno portato i vichinghi immigrati dalla Norvegia e successivamente dall'Islanda e dalla Groenlandia, sulle coste orientali del Canada, in particolare nella regione di Terranova.
Tra le opere più famose si annoverano il Libro dell’insediamento, Landnámabók, in cui sono narrate le storie dei primi coloni norvegesi stabilitisi in Islanda tra l’874 e il 930 e il Libro degli Islandesi, Íslendingabók.
Saghe dell’età contemporanea, racconti secondo uno stile realistico, della storia islandese dall’inizio del XII alla fine del XIII secolo. A differenza degli altri generi, queste saghe sono anch’esse il risultato di una elaborazione e ricostruzione letteraria di eventi storici, ma in questo caso, la narrazione si concentra su personaggi esistenti e contemporanei allo svolgimento degli stessi eventi raccontati.
Saghe dei vescovi, con uno stile tra storiografia e agiografia, narrano storie di vescovi islandesi vissuti tra il XII e il XIV secolo. La figura dei vescovi, nella nuova società scandinava cristianizzata, aveva un ruolo assai rilevante, in quanto si tratta di personaggi provenienti da potenti famiglie locali. Oltre ad essere guide religiose, erano veri e propri leader politici, protagonisti del mutamento sociale delle varie comunità;
Saghe del tempo antico, scritti ambientati nelle regioni germaniche in epoca precedente alla colonizzazione dell’Islanda. Il contesto geografico varia sensibilmente in relazione alle diverse tradizioni culturali delle aree continentali e scandinave. Il concetto di tempo antico, invece, trattandosi di un arco temporale compreso tra le prime migrazioni germaniche e l’epoca vichinga, risalta una disomogeneità di contenuti in funzione del materiale narrativo che va ad intrecciarsi con gli elementi del folklore nordico, dando spazio al sottogenere delle saghe leggendarie.
Saghe dei cavalieri, inizialmente sono traduzioni di opere narrative continentali, di matrice cortese ed eroica, come ad esempio la Saga di Tristano e Isotta, mentre sulla scia dell’impatto che queste hanno avuto sulla cultura islandese, tra il XIII e il XIV secolo, le saghe dei cavalieri iniziano a svilupparsi in un filone autonomo e originale, secondo canoni non realistici, ma basi su mondi di finzione.
Altri racconti, appartenenti a questo genere di saghe, si trovano nel Gesta Danorum di Saxo Grammaticus o in altri scritti a carattere eroico, di area inglese e tedesca. Ciò induce a pensare che se il corpus delle saghe del tempo antico circolava oralmente già durante il XII secolo, ma è tra il XIII e il XIV secolo che questo genere vive il suo periodo di massima diffusione, anche grazie all’influenza delle saghe dei cavalieri.
Saghe dell’età contemporanea, racconti secondo uno stile realistico, della storia islandese dall’inizio del XII alla fine del XIII secolo. A differenza degli altri generi, queste saghe sono anch’esse il risultato di una elaborazione e ricostruzione letteraria di eventi storici, ma in questo caso, la narrazione si concentra su personaggi esistenti e contemporanei allo svolgimento degli stessi eventi raccontati.
Saghe dei vescovi, con uno stile tra storiografia e agiografia, narrano storie di vescovi islandesi vissuti tra il XII e il XIV secolo. La figura dei vescovi, nella nuova società scandinava cristianizzata, aveva un ruolo assai rilevante, in quanto si tratta di personaggi provenienti da potenti famiglie locali. Oltre ad essere guide religiose, erano veri e propri leader politici, protagonisti del mutamento sociale delle varie comunità;
Saghe del tempo antico, scritti ambientati nelle regioni germaniche in epoca precedente alla colonizzazione dell’Islanda. Il contesto geografico varia sensibilmente in relazione alle diverse tradizioni culturali delle aree continentali e scandinave. Il concetto di tempo antico, invece, trattandosi di un arco temporale compreso tra le prime migrazioni germaniche e l’epoca vichinga, risalta una disomogeneità di contenuti in funzione del materiale narrativo che va ad intrecciarsi con gli elementi del folklore nordico, dando spazio al sottogenere delle saghe leggendarie.
Saghe dei cavalieri, inizialmente sono traduzioni di opere narrative continentali, di matrice cortese ed eroica, come ad esempio la Saga di Tristano e Isotta, mentre sulla scia dell’impatto che queste hanno avuto sulla cultura islandese, tra il XIII e il XIV secolo, le saghe dei cavalieri iniziano a svilupparsi in un filone autonomo e originale, secondo canoni non realistici, ma basi su mondi di finzione.
Altri racconti, appartenenti a questo genere di saghe, si trovano nel Gesta Danorum di Saxo Grammaticus o in altri scritti a carattere eroico, di area inglese e tedesca. Ciò induce a pensare che se il corpus delle saghe del tempo antico circolava oralmente già durante il XII secolo, ma è tra il XIII e il XIV secolo che questo genere vive il suo periodo di massima diffusione, anche grazie all’influenza delle saghe dei cavalieri.
Secondo la tradizione nordica, all’origine del mondo c’era il Ginnungagap, l’abisso alle cui estremità esistevano due mondi. A nord sorgeva Niflheimr, il regno del ghiaccio, al centro del quale si trova il pozzo Hvergelmir, da dove hanno origine i fiumi cosmici Elivágar. A sud, invece, sorgeva Múspellsheimr, il regno del fuoco.
Un passo del Gylfaginning (la prima parte dell’Edda in Prosa di Snorri Sturluson) narra che i fiumi Elivágar proseguendo il loro corso molto distante dalla propria sorgente, finirono per creare una coltre di ghiaccio dalla quale scaturì una brina, mentre da sud giungevano venti caldi dal fuoco di Múspellsheimr.
Dall’incontro tra la fredda brina proveniente da nord e i caldi venti del sud ebbero origine la prima forma di vita: il gigante Ymir, progenitore della sua stirpe (dal quale si presume derivasse un altro gigante primordiale Bölþorn) e la mucca Auðhumla dalla quale lo stesso Ymir traeva nutrimento.
La storia della creazione del mondo continua con la narrazione della nascita del primo uomo da alcune parerti ghiacciate leccate da Auðhumla: il primo uomo fu Bori.
Un passo del Gylfaginning (la prima parte dell’Edda in Prosa di Snorri Sturluson) narra che i fiumi Elivágar proseguendo il loro corso molto distante dalla propria sorgente, finirono per creare una coltre di ghiaccio dalla quale scaturì una brina, mentre da sud giungevano venti caldi dal fuoco di Múspellsheimr.
Dall’incontro tra la fredda brina proveniente da nord e i caldi venti del sud ebbero origine la prima forma di vita: il gigante Ymir, progenitore della sua stirpe (dal quale si presume derivasse un altro gigante primordiale Bölþorn) e la mucca Auðhumla dalla quale lo stesso Ymir traeva nutrimento.
La storia della creazione del mondo continua con la narrazione della nascita del primo uomo da alcune parerti ghiacciate leccate da Auðhumla: il primo uomo fu Bori.
Questi ebbe un figlio, Borr, il quale si unì Bestla, figlia del gigante Bölþorn, con la quale concepì tre figli: Odino, Vili e Vé.
Questi uccisero il gigante Ymir, il cui sangue affogò l’intera stirpe dei giganti del ghiaccio. Si salvò solo Bergelmir e la sua famiglia che diede vita ad una nuova stirpe di giganti che furono confinati nel regno di Jötunheimr.
I tre Dèi, figli di Borr, portarono il corpo di Ymir negli abissi e da qui ne trassero gli altri elementi che costituirono il mondo: dai resti del suo corpo vennero creati i mari e gli oceani, la terra, le pietre e le montagne e infine la volta celeste.
Questi uccisero il gigante Ymir, il cui sangue affogò l’intera stirpe dei giganti del ghiaccio. Si salvò solo Bergelmir e la sua famiglia che diede vita ad una nuova stirpe di giganti che furono confinati nel regno di Jötunheimr.
I tre Dèi, figli di Borr, portarono il corpo di Ymir negli abissi e da qui ne trassero gli altri elementi che costituirono il mondo: dai resti del suo corpo vennero creati i mari e gli oceani, la terra, le pietre e le montagne e infine la volta celeste.
Dalla carne del gigante uscirono i vermi, ai quali fu dato l’intelletto e un aspetto antropomorfo cosicché furono creati i Nani, dimoranti nel sottosuolo. I quattro capostipiti furono inviati ai quattro angoli della terra, in relazione ai punti cardinali, per poter sorreggere il cielo: Norðri (nord), Suðri (sud), Austri (est) e Vestri (ovest).
Gli Dèi costruirono nell’alto della volta celeste il regno di Ásaheimr, dove viveva la stirpe degli Æsir (Asi), all’interno del quale si trovava la loro dimora Ásgarðr. La seconda stirpe delle divinità norrena, i Vanir (Vani) risiedevano, invece, nel regno di Vanaheimr..
Dal sacrificio del gigante Ymir restarono le sopracciglia, che gli Dèi utilizzarono per creare un grande recinto destinato ad accogliere gli uomini e che prese il nome di Miðgarðr, situato all’interno di Mannheimr, la terra degli uomini.
Nelle fonti letterarie, poco spazio trovano le narrazioni circa la creazione degli uomini. La versione più accreditata riporta che i tre Dèi, Odino, Vili e Vé si recarono sulla riva del mare dove trovarono due tronchi d’albero che trasformarono in un uomo che prese il nome di Askr e una donna che chiamarono Embla.
Odino donò loro lo spirito e la vita, Vili gli donò la saggezza, mentre Vé gli donò forma, parola, vista e udito.
A completare l’universo della mitologia nordica ci sono Álfheimr, il regno degli Elfi e Svartálfaheimr, il regno dei Nani, dove vennero confinati anche gli elfi oscuri.
Infine, nella parte più remota dell’universo si trova Helheimr, regno dei morti su cui governa la dea Hel, parallelamente alla tradizione cristiana, considerato il regno degli inferi.
Dal sacrificio del gigante Ymir restarono le sopracciglia, che gli Dèi utilizzarono per creare un grande recinto destinato ad accogliere gli uomini e che prese il nome di Miðgarðr, situato all’interno di Mannheimr, la terra degli uomini.
Nelle fonti letterarie, poco spazio trovano le narrazioni circa la creazione degli uomini. La versione più accreditata riporta che i tre Dèi, Odino, Vili e Vé si recarono sulla riva del mare dove trovarono due tronchi d’albero che trasformarono in un uomo che prese il nome di Askr e una donna che chiamarono Embla.
Odino donò loro lo spirito e la vita, Vili gli donò la saggezza, mentre Vé gli donò forma, parola, vista e udito.
A completare l’universo della mitologia nordica ci sono Álfheimr, il regno degli Elfi e Svartálfaheimr, il regno dei Nani, dove vennero confinati anche gli elfi oscuri.
Infine, nella parte più remota dell’universo si trova Helheimr, regno dei morti su cui governa la dea Hel, parallelamente alla tradizione cristiana, considerato il regno degli inferi.
Yggdrasill, l’albero cosmico
Nella rappresentazione iconografica tradizionale, Yggdrasill, l’albero cosmico fulcro dell’universo, sorregge i nove mondi nati dal sacrificio del gigante primordiale Ymir.
È descritto come un frassino, luogo in cui ogni giorno si tiene il Consiglio degli Dèi, situazione che ricorda il Thing, le assemblee che si svolgevano tra i clan vichinghi.
La sua struttura si erge maestosa tra i nove mondi, i suoi rami si stendono lungo la volta celeste coprendo il cielo, mentre le radici su cui è sorretto si spingono in tre diverse direzioni, ognuna delle quali cela una fonte.
Una radice si estende verso il regno di Niflheimr, dove si trova la fonte di Hvergelmir da dove nascono i fiumi del mondo, gli Elivágar. Un’altra radice si inerpica verso lo Jǫtunheimr, il regno dei giganti, dove si trova la fonte della saggezza e della sapienza che prende il nome del gigante che la custodisce, Mímir.
Qui, fonti contrastanti tra l’Edda di Snorri Sturluson, e le storie narrate nel Codex Regius, inducono a pensare un possibile errore di interpretazione, relativo all’episodio che narra di Odino che sacrificherebbe un occhio per poter bere nel corno Gjallarhorn, attribuito allo stesso gigante Mímir o al dio Heimdallr.
La terza radice di Yggdrasill si trova nel regno degli Æsir, vicino Urðr, la fonte del destino. Questa fonte è anche la dimora delle tre norne, Urðr (colei da cui la stessa sorgente prende il nome), Verðandi e Skuld, le quali hanno il compito di prendersi cura dell’albero cosmico, irrorandolo con l’acqua della fonte,
Le norne sono creature mitologiche di diversa natura, alcune hanno origine divina, altre discendono dalle stirpi elfiche, altre ancora appartengono alla famiglia dei nani. Esse determinano il destino degli uomini e lo scorrimento delle loro vite.
Da quanto descritto nelle fonti “eddiche” Yggdrasill è abitato da molti animali, tra cui un’aquila annidata sui rami più alti e su di lei siede il falco Veðrfölnir. Lungo la radice di Niflheimr trova nascondiglio la serpe Níðhöggr. Lelenco continua con lo scoiattolo Rararoskr, i quattro cervi Dáinn, Dvalinn, Duneyrr e Duraþrór, la capra Heidhrun, il gallo Víðópnir il cui canto annuncerà quello che viene definito il crepuscolo degli dèi.
Nella rappresentazione iconografica tradizionale, Yggdrasill, l’albero cosmico fulcro dell’universo, sorregge i nove mondi nati dal sacrificio del gigante primordiale Ymir.
È descritto come un frassino, luogo in cui ogni giorno si tiene il Consiglio degli Dèi, situazione che ricorda il Thing, le assemblee che si svolgevano tra i clan vichinghi.
La sua struttura si erge maestosa tra i nove mondi, i suoi rami si stendono lungo la volta celeste coprendo il cielo, mentre le radici su cui è sorretto si spingono in tre diverse direzioni, ognuna delle quali cela una fonte.
Una radice si estende verso il regno di Niflheimr, dove si trova la fonte di Hvergelmir da dove nascono i fiumi del mondo, gli Elivágar. Un’altra radice si inerpica verso lo Jǫtunheimr, il regno dei giganti, dove si trova la fonte della saggezza e della sapienza che prende il nome del gigante che la custodisce, Mímir.
Qui, fonti contrastanti tra l’Edda di Snorri Sturluson, e le storie narrate nel Codex Regius, inducono a pensare un possibile errore di interpretazione, relativo all’episodio che narra di Odino che sacrificherebbe un occhio per poter bere nel corno Gjallarhorn, attribuito allo stesso gigante Mímir o al dio Heimdallr.
La terza radice di Yggdrasill si trova nel regno degli Æsir, vicino Urðr, la fonte del destino. Questa fonte è anche la dimora delle tre norne, Urðr (colei da cui la stessa sorgente prende il nome), Verðandi e Skuld, le quali hanno il compito di prendersi cura dell’albero cosmico, irrorandolo con l’acqua della fonte,
Le norne sono creature mitologiche di diversa natura, alcune hanno origine divina, altre discendono dalle stirpi elfiche, altre ancora appartengono alla famiglia dei nani. Esse determinano il destino degli uomini e lo scorrimento delle loro vite.
Da quanto descritto nelle fonti “eddiche” Yggdrasill è abitato da molti animali, tra cui un’aquila annidata sui rami più alti e su di lei siede il falco Veðrfölnir. Lungo la radice di Niflheimr trova nascondiglio la serpe Níðhöggr. Lelenco continua con lo scoiattolo Rararoskr, i quattro cervi Dáinn, Dvalinn, Duneyrr e Duraþrór, la capra Heidhrun, il gallo Víðópnir il cui canto annuncerà quello che viene definito il crepuscolo degli dèi.
Ásgarðr
La dimora degli dèi della stirpe degli Asi, situata nel regno di Ásaheimr, custodisce le dimore degli dèi, qui organizzate come residenze indipendenti, richiamando la struttura organizzativa del feudalismo germanico.
Nella dimora di Odino, Glaðsheimr, fu creata la stanza del Valhalla, il paradiso dei guerrieri caduti con onore in combattimento. Essi sono chiamati Einherjar e secondo la tradizione nordica, ogni giorno si allenano nell’arte della guerra, fino al giorno in cui combatteranno al fianco di Odino contro le forze del male.
A Odino, inoltre, sono consacrate due guerriere, famose per il loro impeto combattivo: i Berserkir (uomoni orso), il cui stato mentale durante le battaglie li rendeva immuni al dolore e gli Úlfheðnar, soliti andare in battaglia coperti da pelli di lupo.
In questo regno sono presenti anche le dimore delle altre divinità più importanti del pantheon norreno.
Freyja risiede a Folkvangar, Njörðr vive nel palazzo di Nóatún, Frigg dimora in Fensalir, la dea Saga abita nel palazzo di Sokkvabekkr, il dio-arcere Ullr vive nel palazzo Ydalir, Thor possiede il regno di Þrúðvangar e la sua dimora è nel palazzo di Bilskírnir proseguendo così per tutta la stirpe degli Asie dei Vani che sono stati inviati ad Ásgarðr per sugellare la pace tra le due famiglie di divinità.
Ad Ásgarðr, infine, fu creato il Bifrost, un ponte che può rappresentare un chiaro riferimento all’arcobaleno sia per i suoi colori (verde, blu e rosso) sia per la sua funzione di collegamento tra il regno degli Dèi e la terra degli uomini.
A protezione del Bifrost è posto il dio Heimdallr, al quale fu dato il compito di evitare che i giganti possano raggiungere le dimore degli Æsir. Nella narrazione mitologica, il Bifrost cederà a causa dei giganti di fuoco provenienti da Múspellsheimr, nella battaglia finale del Ragnarök.
La dimora degli dèi della stirpe degli Asi, situata nel regno di Ásaheimr, custodisce le dimore degli dèi, qui organizzate come residenze indipendenti, richiamando la struttura organizzativa del feudalismo germanico.
Nella dimora di Odino, Glaðsheimr, fu creata la stanza del Valhalla, il paradiso dei guerrieri caduti con onore in combattimento. Essi sono chiamati Einherjar e secondo la tradizione nordica, ogni giorno si allenano nell’arte della guerra, fino al giorno in cui combatteranno al fianco di Odino contro le forze del male.
A Odino, inoltre, sono consacrate due guerriere, famose per il loro impeto combattivo: i Berserkir (uomoni orso), il cui stato mentale durante le battaglie li rendeva immuni al dolore e gli Úlfheðnar, soliti andare in battaglia coperti da pelli di lupo.
In questo regno sono presenti anche le dimore delle altre divinità più importanti del pantheon norreno.
Freyja risiede a Folkvangar, Njörðr vive nel palazzo di Nóatún, Frigg dimora in Fensalir, la dea Saga abita nel palazzo di Sokkvabekkr, il dio-arcere Ullr vive nel palazzo Ydalir, Thor possiede il regno di Þrúðvangar e la sua dimora è nel palazzo di Bilskírnir proseguendo così per tutta la stirpe degli Asie dei Vani che sono stati inviati ad Ásgarðr per sugellare la pace tra le due famiglie di divinità.
Ad Ásgarðr, infine, fu creato il Bifrost, un ponte che può rappresentare un chiaro riferimento all’arcobaleno sia per i suoi colori (verde, blu e rosso) sia per la sua funzione di collegamento tra il regno degli Dèi e la terra degli uomini.
A protezione del Bifrost è posto il dio Heimdallr, al quale fu dato il compito di evitare che i giganti possano raggiungere le dimore degli Æsir. Nella narrazione mitologica, il Bifrost cederà a causa dei giganti di fuoco provenienti da Múspellsheimr, nella battaglia finale del Ragnarök.
Le stirpi divine, gli Æsir e i Vanir
Nella mitologia nordica, il pantheon delle divinità è caratterizzato da una interpretazione evemeristica dei singoli Dèi e si divide principalmente in due diverse stirpi: gli Æsir e i Vanir.
Nell’Ynglinga saga di Snorri, gli Æsir provenivano dall’Asìà, la loro terra di origine era Ásaheimr dove si trovava la loro dimora Ásgarðr (recinto degli Asi) e qui dodici sacerdoti (díar o drótnar) presiedevano i solleni sacrifici ed erano allo stesso tempo coloro a cui spettavano le decisioni dell’assemblea. Solo successivamente, secondo una chiave di lettura evemeristica, i sacerdoti furono divinizzati dai loro sudditi.
I Vanir, invece, sono la stirpe abitante del Vanaheimr, ben distinta dagli Æsir, sia per la loro struttura sociale, sia per la loro funzione legata alla conoscenza del futuro e alla loro padronanza nelle arti magiche. Secondo la Saga degli Yinglingar, sono originari della regione del Don, nella zona sud-occidentale della Russia europea.
Nella mitologia nordica, il pantheon delle divinità è caratterizzato da una interpretazione evemeristica dei singoli Dèi e si divide principalmente in due diverse stirpi: gli Æsir e i Vanir.
Nell’Ynglinga saga di Snorri, gli Æsir provenivano dall’Asìà, la loro terra di origine era Ásaheimr dove si trovava la loro dimora Ásgarðr (recinto degli Asi) e qui dodici sacerdoti (díar o drótnar) presiedevano i solleni sacrifici ed erano allo stesso tempo coloro a cui spettavano le decisioni dell’assemblea. Solo successivamente, secondo una chiave di lettura evemeristica, i sacerdoti furono divinizzati dai loro sudditi.
I Vanir, invece, sono la stirpe abitante del Vanaheimr, ben distinta dagli Æsir, sia per la loro struttura sociale, sia per la loro funzione legata alla conoscenza del futuro e alla loro padronanza nelle arti magiche. Secondo la Saga degli Yinglingar, sono originari della regione del Don, nella zona sud-occidentale della Russia europea.
La dicotomia tra le due famiglie di Dèi si presta ad una chiave di lettura che vede nelle due stirpi l’incarnazione di alcuni aspetti della vita umana, dando una descrizione evemeristica delle stesse divinità. Da un lato gli Æsir rappresentano l’esplosione di forze vitali che trovano la loro massima espressione nell’arte della guerra e nel furore, dall’altro i Vani sono presentati come coloro che elargiscono ricchezze agli uomini, esponenti della fecondità e difensori della pace e dell’armonia.
Uno degli episodi più importanti della mitologia nordica è la guerra tra queste due stirpi del pantheon norreno.
La storia racconta che la guerra, innescata dalle azioni malvage di Gullveig, una strega appartenente alla stirpe dei Vanir, terminò con uno scambio di divinità tra le due famiglie a suggellare un nuovo ordine cosmico che gettasse le basi per una duratura protezione agli esseri umani.
Dai Vani giunsero ad Ásgarðr , il dio Njörðr e i suoi figli Freyr e Freyja, i quali furono da subito eletti sacerdoti (díar o drótnar), mentre Asi inviarono nel regno di Vanaheimr le due divinità Mímir e Hœnir. Quest’ultimo fu eletto capo dei Vanir, ma durante le assemblee (Thing) demandava continuamente ad altri la scelta da intraprendere, così i Vani si sentirono traditi dagli Asi e di risposta decapitarono il più saggio dei due, Mímir, inviando la sua testa a Odino.
Il padre degli Dèi, per far sì che la testa di Mímir non si decomponesse la spalmò con alcune erbe, lanciò incantesimi per renderla potente e la conservò per apprendere dalla sua saggezza.
La distinzione tra queste due famiglie di Dèi e soprattutto lo scontro che li ha visti combattersi li uni con gli altri, si presterebbe ad una interpretazione di un contrasto tra due concezioni di vita o anche tra diverse componenti di una stessa società, riportando alla mente il rapporto conflittuale tra individualismo e senso di appartenenza alla sippe.
Uno degli episodi più importanti della mitologia nordica è la guerra tra queste due stirpi del pantheon norreno.
La storia racconta che la guerra, innescata dalle azioni malvage di Gullveig, una strega appartenente alla stirpe dei Vanir, terminò con uno scambio di divinità tra le due famiglie a suggellare un nuovo ordine cosmico che gettasse le basi per una duratura protezione agli esseri umani.
Dai Vani giunsero ad Ásgarðr , il dio Njörðr e i suoi figli Freyr e Freyja, i quali furono da subito eletti sacerdoti (díar o drótnar), mentre Asi inviarono nel regno di Vanaheimr le due divinità Mímir e Hœnir. Quest’ultimo fu eletto capo dei Vanir, ma durante le assemblee (Thing) demandava continuamente ad altri la scelta da intraprendere, così i Vani si sentirono traditi dagli Asi e di risposta decapitarono il più saggio dei due, Mímir, inviando la sua testa a Odino.
Il padre degli Dèi, per far sì che la testa di Mímir non si decomponesse la spalmò con alcune erbe, lanciò incantesimi per renderla potente e la conservò per apprendere dalla sua saggezza.
La distinzione tra queste due famiglie di Dèi e soprattutto lo scontro che li ha visti combattersi li uni con gli altri, si presterebbe ad una interpretazione di un contrasto tra due concezioni di vita o anche tra diverse componenti di una stessa società, riportando alla mente il rapporto conflittuale tra individualismo e senso di appartenenza alla sippe.
Esseri sovrannaturali della mitologia nordica
Oltre alle principali famiglie di Déi, il paganesimo nordico è ricco di ulteriori figure sovrannaturali, che seppur di secondo piano rispetto alle più importanti divinità, sono puniti di riferimento importanti del folklore popolare.
Oltre alle principali famiglie di Déi, il paganesimo nordico è ricco di ulteriori figure sovrannaturali, che seppur di secondo piano rispetto alle più importanti divinità, sono puniti di riferimento importanti del folklore popolare.
Dísir, è un termine generico per indicare divinità femminili di secondo piano, come dee della fecondità o spiriti protettori, ognuna con una propria prerogativa.
Il loro culto è descritto in varie fonti, come la Historia Norvegiae, la Saga di Hervör, o le DísaÞing, termine con cui si designano le assemblee delle Dísir.
Seppur le fonti presentano differenti dettagli nella narrazione del mito, sono comunque accomunate dalla testimonianza della celebrazione di sacrifici in onore di queste figure sovrannaturali.
In linea con la tradizione germanica, la loro funzione è strettamente collegata al concetto di Sippe, in virtù del loro soccorrere le partorienti e proteggere coloro che ne facevano parte, ricorrendo anche alle arti magiche se fosse stato necessario.
Norne, sono le dee del destino* che incarnano l’ineluttabilità del fato, come espressione del legame tra gli esseri umani e il cosmo. Nel capitolo della Predizione della Veggente (Vǫluspá), nell’Edda del Codex Regius, sono presentate come le tre creature che dimorano presso l’Yggdrasill, l’albero cosmico, vicino la fonte di Urðarbrunnr.
Prendendo spunto dall’idea che gioie e dolori si alternano nel corso della vita, le norne sono state citate spesso nelle fonti letterarie, sia nella poesia eddica, sia in quella scaldica, con un approccio narrativo fondato sul concetto che ci siano norne buone e norne malvagie. Concetto amplificato in seguito all’avvento del cristianesimo tra i popoli nordici, che le ha viste relegate alla stregua di creature demoniache, dedite alla stregoneria.
Prendendo spunto dall’idea che gioie e dolori si alternano nel corso della vita, le norne sono state citate spesso nelle fonti letterarie, sia nella poesia eddica, sia in quella scaldica, con un approccio narrativo fondato sul concetto che ci siano norne buone e norne malvagie. Concetto amplificato in seguito all’avvento del cristianesimo tra i popoli nordici, che le ha viste relegate alla stregua di creature demoniache, dedite alla stregoneria.
Valchirie, secondo la tradizione nordica sono le figlie adottive di Odino, coloro che scelgono e raccolgono i caduti in battaglia da portare nel Valhalla, prerogativa che le rende “spose spirituali” degli eroi che diverranno Einherjar, i guerrieri che affiancheranno Odino nella battaglia finale del Ragnarök.
In un certo senso, anche le Valchirie possono essere considerate dee del destino, non di tutti gli uomini, ma per i guerrieri più valorosi e gli eroi.
Sono state descritte come creature lucenti, a volte nelle sembianze di donne, altre volte si presentano sotto le sembianze di cigni. Per le loro abilità di guerriere sono anche state rappresentate come creature armate di tutto punto, la cui prerogativa più caratteristica è quella di essere in grado di cavalcare nell’aria e sulle acque.
Elfi, il loro nome nell’antica lingua nordica è Álfar e, rispetto alle altre figure sovrannaturali, sono considerati una stirpe di natura divina, vicina agli Asi e ai Vani, tanto che in alcune fonti eddiche si narra di sacrifici in loro onore. Il culto degli Elfi, così come viene descritto in alcune saghe, rimanda quello delle Dísir: si tratta di sacrifici di carattere privato che lasciano interpretare la figura degli Elfi come spiriti dei morti e protettori della famiglia e della fecondità della stirpe.
Come accade per le altre creature sovrannaturali, la tradizione della mitologia nordica presenta richiami alla dicotomia tra bene e male, separando due distinte famiglie: ljósálfar, spiriti della luce abitanti dell’’ Álfheimr e i Dökkálfar, gli elfi scuri, le cui caratteristiche gli avvicinano alla stirpe dei nani, la cui dimora era lo Svartálfaheimr.
Secondo la tradizione, gli elfi bianchi, spiriti della luce, sono strettamente collegati alla natura, dimorano nei boschi e a loro era dedicato in particolare un rito che si teneva nella seconda metà dell’autunno.
Nonostante le fonti letterarie provengano dalla ricostruzione di monaci cristiani, l’introduzione della figura degli elfi scuri non è da ricondurre specificatamente al processo di conversione al nuovo credo religioso cristiano, in cui in quanto il culto degli Elfi era annoverato nel folklore germanico fin dall’antichità.
Giganti, sono esseri primordiali alle origini della creazione, dotati dell’antica e profonda conoscenza, dai quali discendono le stirpi divine, incarnano le forze del caos, divenendo nemici degli Dèi a cui essi stessi hanno dato vita.
Costituiscono una delle figure più complesse tra le creature sovrannaturali della mitologia nordica, in quanto rappresentano la forza creatrice e allo stesso tempo devastatrice della natura.
Le fonti letterarie narrano di tre diverse categorie riconducibili agli elementi della terra (giganti di roccia), del fuoco e del ghiaccio, suggerendo un collegamento con gli eventi catastrofici della natura come frane, terremoti, mari ghiacciati o eruzioni vulcaniche.
Tali figure vengono descritte come creature prive di ragionevolezza e razionalità, scaturite proprio dalla loro essenza primordiale, in contrasto con gli Dèi e gli eroi che li combattono per mantenere l’ordine e l’equilibrio nell’universo.
Nella tradizione più tarda, legata alla conversione al nuovo credo religioso del cristianesimo, la figura dei Giganti viene esasperata, dandone un’accezione marcatamente negativa, ponendo queste figure come esseri ostili agli uomini, dall’aspetto sempre più grottesco e demoniaco, suggerendo la più appropriate interpretazione del termine Tröll, dall’aspetto di orchi.
Nani, nell’antica lingua norrena Dvergar, sono descritti come figure ctonie, le cui dimore si trovano nel sottosuolo. Le loro origini risalgono al mito della creazione, in quanto sono tra le creature nate dal sacrificio del gigante Ymir e vengono descritti come esseri intelligenti e dall’aspetto antropomorfo.
Il loro accostamento con l’elemento della terra e la loro prerogativa ctonia li mette in stretta correlazione con il mondo dei morti, secondo la credenza che i defunti dimorino nei tumuli.
Nella narrazione del mito germanico hanno anche una funzione eziologica, grazie alle loro conoscenze delle rune, alla loro abilità nella lavorazione dei metalli e alla forgiatura, nonché al loro ruolo nell’episodio della creazione, in cui viene affidato a rappresentati della loro stirpe il compito di sorreggere la volta celeste nei quattro punti cardinali.
Nella mitologia nordica sono considerate figure iniziatiche, una qualità che li pone precettori di grandi eroi e forgiatori di spade o altre armi e utensili avvolte da poteri magici, tanto che gli stessi Dèi beneficiano dei loro doni che diventano attributi fondamentali di ciascuno di loro.
In un certo senso, anche le Valchirie possono essere considerate dee del destino, non di tutti gli uomini, ma per i guerrieri più valorosi e gli eroi.
Sono state descritte come creature lucenti, a volte nelle sembianze di donne, altre volte si presentano sotto le sembianze di cigni. Per le loro abilità di guerriere sono anche state rappresentate come creature armate di tutto punto, la cui prerogativa più caratteristica è quella di essere in grado di cavalcare nell’aria e sulle acque.
Elfi, il loro nome nell’antica lingua nordica è Álfar e, rispetto alle altre figure sovrannaturali, sono considerati una stirpe di natura divina, vicina agli Asi e ai Vani, tanto che in alcune fonti eddiche si narra di sacrifici in loro onore. Il culto degli Elfi, così come viene descritto in alcune saghe, rimanda quello delle Dísir: si tratta di sacrifici di carattere privato che lasciano interpretare la figura degli Elfi come spiriti dei morti e protettori della famiglia e della fecondità della stirpe.
Come accade per le altre creature sovrannaturali, la tradizione della mitologia nordica presenta richiami alla dicotomia tra bene e male, separando due distinte famiglie: ljósálfar, spiriti della luce abitanti dell’’ Álfheimr e i Dökkálfar, gli elfi scuri, le cui caratteristiche gli avvicinano alla stirpe dei nani, la cui dimora era lo Svartálfaheimr.
Secondo la tradizione, gli elfi bianchi, spiriti della luce, sono strettamente collegati alla natura, dimorano nei boschi e a loro era dedicato in particolare un rito che si teneva nella seconda metà dell’autunno.
Nonostante le fonti letterarie provengano dalla ricostruzione di monaci cristiani, l’introduzione della figura degli elfi scuri non è da ricondurre specificatamente al processo di conversione al nuovo credo religioso cristiano, in cui in quanto il culto degli Elfi era annoverato nel folklore germanico fin dall’antichità.
Giganti, sono esseri primordiali alle origini della creazione, dotati dell’antica e profonda conoscenza, dai quali discendono le stirpi divine, incarnano le forze del caos, divenendo nemici degli Dèi a cui essi stessi hanno dato vita.
Costituiscono una delle figure più complesse tra le creature sovrannaturali della mitologia nordica, in quanto rappresentano la forza creatrice e allo stesso tempo devastatrice della natura.
Le fonti letterarie narrano di tre diverse categorie riconducibili agli elementi della terra (giganti di roccia), del fuoco e del ghiaccio, suggerendo un collegamento con gli eventi catastrofici della natura come frane, terremoti, mari ghiacciati o eruzioni vulcaniche.
Tali figure vengono descritte come creature prive di ragionevolezza e razionalità, scaturite proprio dalla loro essenza primordiale, in contrasto con gli Dèi e gli eroi che li combattono per mantenere l’ordine e l’equilibrio nell’universo.
Nella tradizione più tarda, legata alla conversione al nuovo credo religioso del cristianesimo, la figura dei Giganti viene esasperata, dandone un’accezione marcatamente negativa, ponendo queste figure come esseri ostili agli uomini, dall’aspetto sempre più grottesco e demoniaco, suggerendo la più appropriate interpretazione del termine Tröll, dall’aspetto di orchi.
Nani, nell’antica lingua norrena Dvergar, sono descritti come figure ctonie, le cui dimore si trovano nel sottosuolo. Le loro origini risalgono al mito della creazione, in quanto sono tra le creature nate dal sacrificio del gigante Ymir e vengono descritti come esseri intelligenti e dall’aspetto antropomorfo.
Il loro accostamento con l’elemento della terra e la loro prerogativa ctonia li mette in stretta correlazione con il mondo dei morti, secondo la credenza che i defunti dimorino nei tumuli.
Nella narrazione del mito germanico hanno anche una funzione eziologica, grazie alle loro conoscenze delle rune, alla loro abilità nella lavorazione dei metalli e alla forgiatura, nonché al loro ruolo nell’episodio della creazione, in cui viene affidato a rappresentati della loro stirpe il compito di sorreggere la volta celeste nei quattro punti cardinali.
Nella mitologia nordica sono considerate figure iniziatiche, una qualità che li pone precettori di grandi eroi e forgiatori di spade o altre armi e utensili avvolte da poteri magici, tanto che gli stessi Dèi beneficiano dei loro doni che diventano attributi fondamentali di ciascuno di loro.
Il crepuscolo degli Dèi
Come per gli altri aspetti della mitologia nordica, anche la ricostruzione dell’escatologia del mondo norreno suggerisce importanti richiami alla sfera religiosa cristiana.
Il concetto di eternità, nella mitologia nordica, non tende a rappresentare in maniera continua l’esistenza di uno stesso mondo, ma si esprime attraverso il reiterarsi di cicli vitali, un rinnovamento costante e incessabile.
Il dualismo bene/male, già anticipato nella guerra tra le due stirpi divine degli gli Æsir e dei Vanir, è stato esaltato nel Ragnarök, il crepuscolo degli Dèi, che segna il definitivo disfacimento dell’ordine cosmico fino a quel momento retto dagli Dèi stessi.
Nelle fonti letterarie il Ragnarök viene anticipato da segnali cupi e inquietanti, un gelido inverno, il Fimbulvetr, porterà un freddo insostenibile e distese di ghiaccio per tre lunghe stagioni.
Come per gli altri aspetti della mitologia nordica, anche la ricostruzione dell’escatologia del mondo norreno suggerisce importanti richiami alla sfera religiosa cristiana.
Il concetto di eternità, nella mitologia nordica, non tende a rappresentare in maniera continua l’esistenza di uno stesso mondo, ma si esprime attraverso il reiterarsi di cicli vitali, un rinnovamento costante e incessabile.
Il dualismo bene/male, già anticipato nella guerra tra le due stirpi divine degli gli Æsir e dei Vanir, è stato esaltato nel Ragnarök, il crepuscolo degli Dèi, che segna il definitivo disfacimento dell’ordine cosmico fino a quel momento retto dagli Dèi stessi.
Nelle fonti letterarie il Ragnarök viene anticipato da segnali cupi e inquietanti, un gelido inverno, il Fimbulvetr, porterà un freddo insostenibile e distese di ghiaccio per tre lunghe stagioni.
Il mondo degli uomini sarà sconvolto da catastrofi naturali, terremoti, eruzioni di vulcani, alluvioni e vedrà una progressiva e inesorabile caduta di valori, all’insegna di odio e rancori che esploderanno in sanguinose guerre, fino alla sua stessa rovina.
La narrazione continua con l’epico scontro nella pianura di Vígríðr, tra gli Dèi e le proprie nemesi appartenenti alle forze del male, che vedrà il reciproco annientamento delle due fazioni, lasciando posto ad un nuovo mondo, in cui rinvigorite stirpi di uomini e Dèi daranno vita ad un rinnovato ciclo di vita.
La narrazione continua con l’epico scontro nella pianura di Vígríðr, tra gli Dèi e le proprie nemesi appartenenti alle forze del male, che vedrà il reciproco annientamento delle due fazioni, lasciando posto ad un nuovo mondo, in cui rinvigorite stirpi di uomini e Dèi daranno vita ad un rinnovato ciclo di vita.
I guerrieri-belve, tra mitologia e psiche
Tra folklore e mitologia dell’antica tradizione nordica precedente all’introduzione del cristianesimo, si colloca la figura dei guerrieri-belve, due classi di guerrieri consacrati a Odino, indicati con i termini Berserkr (plurale Berserkir), uomini orso e Úlfheðinn (plurale Úlfheðnar), uomini lupo.
Nel primo caso, gli studiosi hanno aperto una controversia etimologica sull’interpretazione filologica del termine. Una prima ipotesi vede il sostantivo Berserkr, comporsi della radice ber (orso) al sostantivo sekr, camicia, esprimendo l’interpretazione più comunemente riconosciuta, come uomini vestiti di pelle di orso. Un’altra chiave di lettura è legata all’aggettivo berr, nudo, che associato al secondo sostantivo serkr, camicia, si presterebbe a tradurre il termine Berserkr come uomini senza armatura.
Il termine Úlfheðnar, invece, è composto da due sostantivi: il primo Úlfr indica il termine lupo, il secondo heðinn ad indicare un vestito di pelliccia.
Il termine Úlfr, derivante dal germanico Wulfaz e dalle sue evoluzioni etimologiche come il danese Ulver, l’anglosassone Wulf fino al tedesco Wolf, così come indicato su alcune iscrizioni runiche, induce a pensare che si tratta di un termine che possa esprimere il concetto di metamorfosi, intesa come mimetismo, legato a forme marziali di combattimento.
A partire dal XVII secolo, numerose interpretazioni e ipotesi sono state avanzate dagli studiosi, dando vita ad un interessante confronto tra le chiavi di lettura derivata da un’analisi filologica proveniente principalmente da fonti scaldiche come l’Haraldskvæði, eddiche o da altre saghe islandesi e gli studi scientifici che durante il XX secolo hanno interessato la sfera della medicina e più in particolare la psichiatria.
Se da un lato, le interpretazioni di natura filologica tengono conto del fatto che le tradizioni guerriere della Scandinavia pagana erano spesso collegate a pratiche magico-religiose, altre ipotesi hanno suggerito una chiave di lettura legata all’utilizzo di funghi allucinogeni o di altre sostanze psicotrope che potessero alterare la condizione mentale di questi guerrieri. Tesi però smentita da specifici studi medici riguardati l’epilessia o l’isteria, che si sono concentrati sulle descrizioni narrative dello spirito del berserksgangr, soprattutto le urla, gli ululati e il mordere gli scudi.
Un altro aspetto interessante proviene dalla Egil Saga, in cui viene introdotto il concetto di licantropia, a proposito della descrizione del personaggio di Kveld Úlfr e alla predisposizione fisica degli stessi guerrieri. Anche quello della licantropia è un elemento che nel tempo è stato oggetto di studio della psichiatria moderna.
Altre importanti testimonianze attestanti l’impiego di maschere zoomorfe provengono dai ritrovamenti archeologici a partire dall’età del bronzo, sia in Scandinavia, sia negli insediamenti germanici nelle aree più continentali.
Tali ritrovamenti però vanno contestualizzati e non implicano in alcun modo una correlazione delle figure di Berserkir o di Úlfheðnar, di epoca medievale, con un periodo così remoto, in quanto le strutture sociale e le credenze religiose delle popolazioni germaniche hanno subito importanti evoluzioni nel corso dei secoli, anche per via delle relazioni con altre culture indoeuropee provenienti dal Mediterraneo o dall’Asia.
Al di là di ogni ragionevole dubbio scientifico, sulla base della documentazione archeologica, delle fonti letterarie e delle epigrafie runiche, è comunque possibile affermare che il fenomeno delle figure dei guerrieri-belve, seppur associato ad un insieme di credenze religiose e culti pagani, è effettivamente esistito, in un arco temporale compreso tra l’età di Vendel e l’epoca vichinga, e conservato dal punto di vista culturale, dagli eruditi nordici tra l’XI e il XIII secolo.
Tra folklore e mitologia dell’antica tradizione nordica precedente all’introduzione del cristianesimo, si colloca la figura dei guerrieri-belve, due classi di guerrieri consacrati a Odino, indicati con i termini Berserkr (plurale Berserkir), uomini orso e Úlfheðinn (plurale Úlfheðnar), uomini lupo.
Nel primo caso, gli studiosi hanno aperto una controversia etimologica sull’interpretazione filologica del termine. Una prima ipotesi vede il sostantivo Berserkr, comporsi della radice ber (orso) al sostantivo sekr, camicia, esprimendo l’interpretazione più comunemente riconosciuta, come uomini vestiti di pelle di orso. Un’altra chiave di lettura è legata all’aggettivo berr, nudo, che associato al secondo sostantivo serkr, camicia, si presterebbe a tradurre il termine Berserkr come uomini senza armatura.
Il termine Úlfheðnar, invece, è composto da due sostantivi: il primo Úlfr indica il termine lupo, il secondo heðinn ad indicare un vestito di pelliccia.
Il termine Úlfr, derivante dal germanico Wulfaz e dalle sue evoluzioni etimologiche come il danese Ulver, l’anglosassone Wulf fino al tedesco Wolf, così come indicato su alcune iscrizioni runiche, induce a pensare che si tratta di un termine che possa esprimere il concetto di metamorfosi, intesa come mimetismo, legato a forme marziali di combattimento.
A partire dal XVII secolo, numerose interpretazioni e ipotesi sono state avanzate dagli studiosi, dando vita ad un interessante confronto tra le chiavi di lettura derivata da un’analisi filologica proveniente principalmente da fonti scaldiche come l’Haraldskvæði, eddiche o da altre saghe islandesi e gli studi scientifici che durante il XX secolo hanno interessato la sfera della medicina e più in particolare la psichiatria.
Se da un lato, le interpretazioni di natura filologica tengono conto del fatto che le tradizioni guerriere della Scandinavia pagana erano spesso collegate a pratiche magico-religiose, altre ipotesi hanno suggerito una chiave di lettura legata all’utilizzo di funghi allucinogeni o di altre sostanze psicotrope che potessero alterare la condizione mentale di questi guerrieri. Tesi però smentita da specifici studi medici riguardati l’epilessia o l’isteria, che si sono concentrati sulle descrizioni narrative dello spirito del berserksgangr, soprattutto le urla, gli ululati e il mordere gli scudi.
Un altro aspetto interessante proviene dalla Egil Saga, in cui viene introdotto il concetto di licantropia, a proposito della descrizione del personaggio di Kveld Úlfr e alla predisposizione fisica degli stessi guerrieri. Anche quello della licantropia è un elemento che nel tempo è stato oggetto di studio della psichiatria moderna.
Altre importanti testimonianze attestanti l’impiego di maschere zoomorfe provengono dai ritrovamenti archeologici a partire dall’età del bronzo, sia in Scandinavia, sia negli insediamenti germanici nelle aree più continentali.
Tali ritrovamenti però vanno contestualizzati e non implicano in alcun modo una correlazione delle figure di Berserkir o di Úlfheðnar, di epoca medievale, con un periodo così remoto, in quanto le strutture sociale e le credenze religiose delle popolazioni germaniche hanno subito importanti evoluzioni nel corso dei secoli, anche per via delle relazioni con altre culture indoeuropee provenienti dal Mediterraneo o dall’Asia.
Al di là di ogni ragionevole dubbio scientifico, sulla base della documentazione archeologica, delle fonti letterarie e delle epigrafie runiche, è comunque possibile affermare che il fenomeno delle figure dei guerrieri-belve, seppur associato ad un insieme di credenze religiose e culti pagani, è effettivamente esistito, in un arco temporale compreso tra l’età di Vendel e l’epoca vichinga, e conservato dal punto di vista culturale, dagli eruditi nordici tra l’XI e il XIII secolo.
La magia nella cultura nordica
La magia è un insieme di credenze e tecniche che si pongono, come fine, il controllo degli elementi naturali e sovrannaturali dell’ambiente, per volgerli ai propri scopi. Se pensiamo alle credenze come ad un insieme di conoscenze il cui alone di mistero è alimentato dal fatto che la loro divulgazione avviene tramite una trasmissione orale, tra cui il valore dei nomi delle Rune e le tecniche come competenze pratiche nell’atto dell’incisione e della scrittura, ecco che le Rune possono essere accostate ai temi della magia.
La religione. Invece, di per sé dovrebbe escludere le pratiche magiche, in quanto tramite essa l’uomo si affida completamente alle divinità, ma nel mondo antico non era sempre così netta la distinzione.
Ad esempio, l’offerta di un sacrificio, elemento caratteristico dei culti religiosi, può anche essere intesa come una pratica magica, dal momento che ha lo scopo dichiarato di influenzare l’atteggiamento delle divinità nei confronti dell’uomo.
Una caratteristica tipica delle civiltà antiche è quella di attribuire alle divinità l’origine della scrittura come una diffusa interpretazione della mitologia germanica riconosce a Wotan (Odino) il merito dell’invenzione del Fuþark. In particolare, ciò che pone Odino in stretta correlazione con le rune è la sua totale padronanza della magia legata al loro utilizzo, acquisita in seguito ad un sacrificio iniziatico, dopo essersi immolato a se stesso, essendo rimasto appeso per nove notti all’albero cosmico, l’Yggdrasill.
Questo processo di iniziazione gli aveva consegnato, oltre alla conoscenza delle Rune, il possesso dei Galdr, canti magici che permettevano il controllo sul mondo.
Questi due elementi, le Rune e i Galdr, suggeriscono il sovrapporsi nella figura di Odino di cognizioni magiche di diversa natura.
Seppure le fonti che riguardano la pratica magica in epoca vichinga non consentano di definire in maniera precisa i contorni della materia è possibile, tuttavia, cogliere alcune distinzioni tra l’antica magia di tipo naturalistico (proveniente originariamente dal culto di Freyja) e quella legata al potere della parola e direttamente collegata alle incisioni runiche.
Il collegamento fra l’uso grafico e l’uso magico di questi segni sta nella loro qualità di simboli che concentrano la forza e richiamano il potere dell’elemento in essi rappresentato. La capacità di incidere le Rune diventa dunque capacità magica, manipolazione di entità ritenute potenti, in quanto evocatrici di forze sovrannaturali.
Nel quadro culturale dei popoli nordici, il concetto di magia è strettamente legato a quello di conoscenza del sovrannaturale e va ovviamente contestualizzato all’epoca medievale, tanto che a seguito della cristianizzazione, i codici delle leggi in Islanda e Norvegia imponevano pene estremamente severe per i casi che venivano riconosciuti come legati alla stregoneria.
La religione. Invece, di per sé dovrebbe escludere le pratiche magiche, in quanto tramite essa l’uomo si affida completamente alle divinità, ma nel mondo antico non era sempre così netta la distinzione.
Ad esempio, l’offerta di un sacrificio, elemento caratteristico dei culti religiosi, può anche essere intesa come una pratica magica, dal momento che ha lo scopo dichiarato di influenzare l’atteggiamento delle divinità nei confronti dell’uomo.
Una caratteristica tipica delle civiltà antiche è quella di attribuire alle divinità l’origine della scrittura come una diffusa interpretazione della mitologia germanica riconosce a Wotan (Odino) il merito dell’invenzione del Fuþark. In particolare, ciò che pone Odino in stretta correlazione con le rune è la sua totale padronanza della magia legata al loro utilizzo, acquisita in seguito ad un sacrificio iniziatico, dopo essersi immolato a se stesso, essendo rimasto appeso per nove notti all’albero cosmico, l’Yggdrasill.
Questo processo di iniziazione gli aveva consegnato, oltre alla conoscenza delle Rune, il possesso dei Galdr, canti magici che permettevano il controllo sul mondo.
Questi due elementi, le Rune e i Galdr, suggeriscono il sovrapporsi nella figura di Odino di cognizioni magiche di diversa natura.
Seppure le fonti che riguardano la pratica magica in epoca vichinga non consentano di definire in maniera precisa i contorni della materia è possibile, tuttavia, cogliere alcune distinzioni tra l’antica magia di tipo naturalistico (proveniente originariamente dal culto di Freyja) e quella legata al potere della parola e direttamente collegata alle incisioni runiche.
Il collegamento fra l’uso grafico e l’uso magico di questi segni sta nella loro qualità di simboli che concentrano la forza e richiamano il potere dell’elemento in essi rappresentato. La capacità di incidere le Rune diventa dunque capacità magica, manipolazione di entità ritenute potenti, in quanto evocatrici di forze sovrannaturali.
Nel quadro culturale dei popoli nordici, il concetto di magia è strettamente legato a quello di conoscenza del sovrannaturale e va ovviamente contestualizzato all’epoca medievale, tanto che a seguito della cristianizzazione, i codici delle leggi in Islanda e Norvegia imponevano pene estremamente severe per i casi che venivano riconosciuti come legati alla stregoneria.
La ruota dell'anno
Generalmente, la tradizione norrena basa il proprio calendario sulle quattro celebrazioni coincidenti con i due solstizi: miðsumarr, in estate e jolablót, in inverno e i due equinozi: haustblót, in autunno e várblót, in primavera.
Altri culti neopagani suddividono il calendario rituale in una serie di date più articolata, in relazione a festività di origine germanica o celtica, altre ancora si richiamano alla più moderna corrente Wicca. Questo calendario rituale prende il nome di Ruota dell’anno e scandisce le seguenti festività:
Altri culti neopagani suddividono il calendario rituale in una serie di date più articolata, in relazione a festività di origine germanica o celtica, altre ancora si richiamano alla più moderna corrente Wicca. Questo calendario rituale prende il nome di Ruota dell’anno e scandisce le seguenti festività:
31 gennaio / 1 febbario: Dísablót, festa delle Dísir, delle Norne e delle Valchirie (secondo il calendario islandese e si celebra la figura di Thor, protettore di Asgard e Midgard).
Nella tradizione celtica prende il nome di Imbolc. Questa festa, lasciandosi alle spalle il buio e freddo inverno, celebra il passaggio verso la luce, interpretabile come protezione e fecondità; nel primo caso il riferimento è l’omaggio a Thor e alle Valchirie, mentre il concetto di fecondità richiama la figura delle Dísir. La runa associata a questa festività è Algiz, in onore della forza protettrice delle valchirie.
20/21 marzo: Ostara (várblót), è la festa che celebra l’entra vera e propria nel periodo solare dell’anno, durante l’equinozio di primavera, in onore di alcune divinità del pantheon nordico e germanico, tra cui Frigg, Freyja, Iðunn e Njörðr. La runa di riferimento è Berkano, il cui nome è traducibile in Dea Betulla, in onore della Madre Terra.
30 aprile / 1 maggio: Walpurga, nella tradizione celtica Beltane, e si celebra tra l'equinozio di primavera ed il solstizio estivo, in onore delle nozze degli déi.
Il termine Walpurga è traducibile come “Recinto dei caduti”, quindi l’etimologia di questa festività riconduce al concetto di Walhalla e alla figura delle valchirie, il cui operare suggerisce che il concetto di ricongiungimento con gli dèi sia interpretabile come una sorta di rinascita. La runa di riferimento è Laguz, il cui nome è traducibile come corso d’acqua, intesa come fonte primordiale di vita e prosperità.
20/21 giugno: Miðsumarr, la festa di mezza estate, denominata Litha nella tradizione celtica-anglosassone. Durante il solstizio d’estate, rappresenta il trionfo della luce sul buio e celebra le figure di Baldr e Dagr, quest’ultimo della stirpe dei giganti, figlio di Nótt, personificazione della notte e di Dellingr, personificazione dell’alba. La runa associata a questa festività è Dagaz, il cui significato è associabile al concetto di giorno inteso come speculare alla notte, come passaggio infinito tra l’ascesa e la discesa del sole.
31 luglio / 1 agosto: Freyrblót, la festa del raccolto, nella tradizione celtica prende il nome di Lughnasadh. I simboli più importati di questa festività sono il grano, la spiga e il pane, inteso come nutrimento non solo materiale, ma anche spirituale, in omaggio a Freyr, quale difensori della ricchezza e della fertilità della terra. La runa di riferimento è Thurisaz, legata alla figura di Thor, guardiano di Midgard e difensore degli uomini.
20/21 settembre: l’Haustblót, nella tradizione celtica prende il nome di Mabon, è la festa dell’equinozio di autunno. In questo periodo dell’anno si celebrano i frutti del raccolto autunnale, nei boschi o in altri luoghi selvatici, dove si possono raccogliere piante secche, castagne e vari frutti tipici della stagione, in omaggio anche in questo caso. alle maggiori divinità del pantheon nordico, protettrici della fertilità della terra. La runa di riferimento è Kaun, il fuoco della torcia, il cui significato può essere associato alla ricerca di un fuoco interiore, domato in un percorso di iniziazione e di conoscenza.
31 ottobre / 1 novembre: Álfablót, la festa degli elfi, nella tradizione celtica prende il nome di Samhain, dalla quale deriva la più recente festa di Halloween. Questa ricorrenza apre la stagione invernale che troverà il suo culmine nel successivo solstizio di Yule. Si ricordano i defunti e antenati, celebrando le figure degli elfi (la cui etimologia deriva dalla radice indoeuropea “risplendere” o anche “essere bianco”), esseri sovrannaturali ai quali è attribuita una natura divina, accanto alle stirpi degli Æsir e dei Vanir.
Nella cultura nordica questa ricorrenza viene associata al Vetrnætr, una festa pagana di origine germanica, risalente al tardo medioevo. La runa di riferimento è Hagalaz, la grandine. Il suo significato può essere interpretato come rinascita: la grandine, essendo più pesante della pioggia, ha un’azione distruttiva, ma sciogliendosi diviene acqua, nutrimento di ogni forma di vita. Da qui il senso di rigenerazione dopo la morte.
20/21 dicembre: Yule, durante il solstizio d’inverno, nell’antica tradizione norrena prende il nome di Jól. Questa festività, contrariamente al fatto che si celebri in un mese invernale, inneggia il culto del sole, paragonabile al Sol Invictus dell’antica Roma o degli antichi imperi di Egitto e Siria.
La tradizione norrena festeggia le divinità solari di Sól (Sunna, in antica lingua norrena) e Baldr, a simboleggiare il ritorno della luce dopo che si è toccato il punto più profondo del buio invernale.
La runa di riferimento è Jera, la cui interpretazione può essere associata al ciclo del Sole, inteso come ciclo di vita. Il suo glifo rappresenta l’avvicendarsi ciclico delle stagioni, in cui il fuoco (estate) e il ghiaccio (inverno) non sono forze opposte, ma elementi complementari l’uno con l’altro, come una spirale in cui il compimento di ogni ciclo porta ad una crescita interiore.
È importante ricordare che la ricostruzione di questi calendari rituali e le loro relative festività possono risultare non corretti dal punto di vista prettamente storico, in quanto si basano su narrazioni provenienti da antichi testi alterati dal processo di conversione al cristianesimo. Inoltre, è opportuno considerare che il culto eteno non è dogmatico e si evolve nel tempo, in un costante adattamento delle antiche tradizioni per renderle più idonee ai tempi moderni.
I Luoghi Di Culto
A differenza delle popolazioni scandinave, dove le venerazioni delle divinità avvenivano all’interno di santuari o specifici luoghi di culto, come ad Uppsala, nel cuore della Svezia, i Germani non conoscevano il concetto di luogo stabilmente adibito al culto religioso, piuttosto preferivano celebrare i propri riti in ambienti naturali, considerati particolarmente sacri come boschi, alture, stagni o paludi.
A differenza delle popolazioni scandinave, dove le venerazioni delle divinità avvenivano all’interno di santuari o specifici luoghi di culto, come ad Uppsala, nel cuore della Svezia, i Germani non conoscevano il concetto di luogo stabilmente adibito al culto religioso, piuttosto preferivano celebrare i propri riti in ambienti naturali, considerati particolarmente sacri come boschi, alture, stagni o paludi.
Gli studi archeologici hanno mostrato l’esistenza di veri e propri luoghi di culto, fin dai tempi più antichi.
I siti danesi di Troldebjerg, nella parte meridionale dell’Isola di Langeland e di Tustrup, nello Jutland orientale, rappresentano evidenti testimonianze risalenti all’epoca preistorica.
Un altro sito danese, a Sandagergard, risale all’età del bronzo e la sua struttura caratterizzata da una serie di recinzioni, tra terrapieni e palizzate, ne suggerisce una destinazione non ad uso esclusivamente ritualistico, ma una predisposizione per attività quotidiane legate alla vita comunitaria.
Durante l’ultima fase del paganesimo nordico, risale la costruzione di veri e propri templi, spesso descritti nelle diverse saghe, soprattutto nelle fonti islandesi, mentre il più famoso resta il tempio eretto ad Uppsala, in Svezia.
Dall’Islanda provengono le descrizioni degli Hof, costruzioni spirate alle chiese della prima fase del processo di cristianizzazione e che a loro volta potrebbero aver ispirato le linee architettoniche delle Stavkirker, luoghi di culto in legno, di cui si hanno importanti esempi in Norvegia.
I toponimi legati ai luoghi di sacri scandinavi inducono a pensare che le diverse forme di culto, nonostante il processo di cristianizzazione a fine epoca vichinga, abbiamo sempre mantenuto una particolare concezione della natura, prediligendo luoghi come alture, fonti e cascate, boschi o cumuli di pietre. Questi ultimi, in particolare, in linea con l’antica tradizione nordica, riconducono alle concezioni magiche delle pietre, ma anche alla sepoltura degli antenati e al recinto di pietra in cui si svolgeva l’assemblea.
L’approccio religioso degli uomini del nord, nonostante il cui credo si era evoluto da concezioni strettamente naturalistiche, non si allontanò mai, nella sostanza, dalle proprie premesse, mantenendo al tempo stesso, forti influenze con le pratiche magiche e le credenze nel sovrannaturale.
In tal senso, ha avuto un ruolo molto importante il contatto con la cultura dei vicini popoli lapponi, in particolare il rapporto tra la pratica magica del Seidr, assai diffusa nella Scandinavia pagana e la magia tipica dei Finni e dei Lapponi.
I siti danesi di Troldebjerg, nella parte meridionale dell’Isola di Langeland e di Tustrup, nello Jutland orientale, rappresentano evidenti testimonianze risalenti all’epoca preistorica.
Un altro sito danese, a Sandagergard, risale all’età del bronzo e la sua struttura caratterizzata da una serie di recinzioni, tra terrapieni e palizzate, ne suggerisce una destinazione non ad uso esclusivamente ritualistico, ma una predisposizione per attività quotidiane legate alla vita comunitaria.
Durante l’ultima fase del paganesimo nordico, risale la costruzione di veri e propri templi, spesso descritti nelle diverse saghe, soprattutto nelle fonti islandesi, mentre il più famoso resta il tempio eretto ad Uppsala, in Svezia.
Dall’Islanda provengono le descrizioni degli Hof, costruzioni spirate alle chiese della prima fase del processo di cristianizzazione e che a loro volta potrebbero aver ispirato le linee architettoniche delle Stavkirker, luoghi di culto in legno, di cui si hanno importanti esempi in Norvegia.
I toponimi legati ai luoghi di sacri scandinavi inducono a pensare che le diverse forme di culto, nonostante il processo di cristianizzazione a fine epoca vichinga, abbiamo sempre mantenuto una particolare concezione della natura, prediligendo luoghi come alture, fonti e cascate, boschi o cumuli di pietre. Questi ultimi, in particolare, in linea con l’antica tradizione nordica, riconducono alle concezioni magiche delle pietre, ma anche alla sepoltura degli antenati e al recinto di pietra in cui si svolgeva l’assemblea.
L’approccio religioso degli uomini del nord, nonostante il cui credo si era evoluto da concezioni strettamente naturalistiche, non si allontanò mai, nella sostanza, dalle proprie premesse, mantenendo al tempo stesso, forti influenze con le pratiche magiche e le credenze nel sovrannaturale.
In tal senso, ha avuto un ruolo molto importante il contatto con la cultura dei vicini popoli lapponi, in particolare il rapporto tra la pratica magica del Seidr, assai diffusa nella Scandinavia pagana e la magia tipica dei Finni e dei Lapponi.
Pratiche magiche e sciamanesimo
La magia può essere definita la presunta arte di influenzare il corso degli eventi, attraverso un controllo occulto della natura o degli spiriti. A tal proposito, è importante ricordare quanto il destino, nella mitologia nordica, abbia un ruolo ben definito ed importante.
Nel corso del tempo, soprattutto in seguito al processo di cristianizzazione delle popolazioni considerate pagane, la magia ha acquisito una concezione negativa, in quanto poteva essere utilizzata per scopo malvagi. La religione, al contrario, si poneva come una giustificazione all’accadimento degli eventi.
Nelle religioni monoteiste questo approccio era ancora più marcato, dato che i poteri sovrannaturali potevano appartenere ad un solo dio, a discapito della magia che era considerata un sacrilegio. Inoltre, l’antica religione dei popoli norreni presenta elementi che possono essere interpretati secondo i canoni dell’evemerismo, teoria secondo la quale le divinità mitologiche sono eroi divenuti dèi a seguito di un processo di iniziazione e divinazione.
In entrambi i casi, sia che si parli di religione, sia che si parli di magia, alla base di queste credenze ci sono i rituali esercitati sulla base di determinati gesti simbolici. In questo contesto si distinguono tre diverse figure sulla base di due differenti prospettive, una collegata alla religione, l’altra connessa alla magia: il sacerdote, lo stregone, lo sciamano.
Il sacerdote, operante nella sfera religiosa, assume una veste a cui è associato l’elemento della purezza, in quanto è il tramite con l’ultraterreno e di conseguenza appare come l’esecutore di rituali collettivi finalizzati a celebrare ed evocare qualcosa di ignoto e sovrannaturale, ma allo stesso tempo assume il ruolo di custode della memoria storica di una specifica società. Il concetto di sacerdote, nel corso dei secoli, si è evoluto sempre di più da tutti quegli elementi che potessero in qualche modo associarlo alla figura di mago, fino a renderlo un “semplice” intermediario tra gli uomini e gli dèi.
Lo stregone pone le sue fondamenta sulla convinzione che il cosmo sia un tutto e il suo obbiettivo, solitamente, è quello di controllare e condizionare il destino, nel bene o nel male.
Infine, gli sciamani che, così come gli stregoni, sono visti con diffidenza e scetticismo se non addirittura paura. Proprio su questo elemento verte, invece, una differenza sostanziale, in quanto l’attività dello sciamano non è mai volta ad intenti malvagi, ma finalizzata al benessere della comunità di cui fa parte.
Lo sciamanesimo non è una religione e non ha un sistema di credenze proprio, ma è un insieme di attività volta a trovare l’equilibrio tra corpo, mente e spirito, in cui il rapporto con il sovrannaturale si evidenzia nel momento in cui lo sciamano entra in uno stato di trance, al fine di comunicare con gli spiriti.
Da quanto si apprende dalle fonti letterarie della mitologia nordica, lo sciamo non era solo una figura spirituale e di guaritore, ma era anche colui che traghettava le anime dei defunti nell’aldilà.
Una sua caratteristica era lo shapeshifting, cioè la capacità di tramutarsi in altri esseri, spesso animali, assumendone non solo i caratteri estetici, ma anche le caratteristiche comportamentali. Secondo le credenze dell’epoca, i guerrieri indossavano le pelli animali convinti di riuscire, in questo modo, a cambiare volto alla propria anima e di conseguenza la propria energia vitale in quella di un animale.
Lo shapeshifting, dunque, provocava una vera e propria fusione dell’anima dell’essere umano con quella dell’animale e allo stesso tempo quella della terra con lo spirito, sviluppando la massima compenetrazione tra uomo e natura.
Tra le pratiche magiche riportate nelle fonti letterarie, le più note sono il Galdr, incantesimi recitati tramite canti o anche invocazioni delle Rune; il Gandr, una pratica considerata malvagia al punto che in alcune narrazioni della mitologia nordica viene associato a mostri o animali terrificanti; l’Útiseta, una sorta di meditazione finalizzati a mettersi in contatto con altri mondi, che consisteva all’aperto, spesso su tumuli cenerari oppure in montagna o lungo un torrente.
Infine, il Seiðr, una pratica antichissima di origine sciamanica: secondo Snorri Sturluson, tale pratica fonda le sue origini mitologiche nella Yinlinga Saga.
Il Seiðr, nell’ambito delle esperienze mistiche, pone la massima attenzione sul concetto di divinazione: gli sciamani norreni operavano al fine di poter comunicare con gli spiriti per poter ottenere una conoscenza altrimenti inaccessibile.
Durante la pratica del Seiðr, la cerimonia si svolgeva attraverso canti ritenuti magici, su una piattaforma issata ad un’altezza notevole, che stava a simboleggiare l’avvicinarsi al cielo. Il rito veniva celebrato tramite un intenso uso di tamburi, producendo un suono marziale, dal ritmo ossessivo, finalizzato a produrre uno stato di trance mentale che portava lo sciamano a stabilire un legame con entità sovrannaturali.
Nella cerimonia del Seiðr aveva un ruolo molto importante anche la simbologia animale, in particolare la figura del corvo. Secondo il folklore nordico, questo animale ha un legame stretto con la magia, rappresenta la preveggenza ed è considerato un animale guida in grado di proteggere e donare la piena conoscenza della magia in un percorso di crescita spirituale.
Nel corso del tempo, soprattutto in seguito al processo di cristianizzazione delle popolazioni considerate pagane, la magia ha acquisito una concezione negativa, in quanto poteva essere utilizzata per scopo malvagi. La religione, al contrario, si poneva come una giustificazione all’accadimento degli eventi.
Nelle religioni monoteiste questo approccio era ancora più marcato, dato che i poteri sovrannaturali potevano appartenere ad un solo dio, a discapito della magia che era considerata un sacrilegio. Inoltre, l’antica religione dei popoli norreni presenta elementi che possono essere interpretati secondo i canoni dell’evemerismo, teoria secondo la quale le divinità mitologiche sono eroi divenuti dèi a seguito di un processo di iniziazione e divinazione.
In entrambi i casi, sia che si parli di religione, sia che si parli di magia, alla base di queste credenze ci sono i rituali esercitati sulla base di determinati gesti simbolici. In questo contesto si distinguono tre diverse figure sulla base di due differenti prospettive, una collegata alla religione, l’altra connessa alla magia: il sacerdote, lo stregone, lo sciamano.
Il sacerdote, operante nella sfera religiosa, assume una veste a cui è associato l’elemento della purezza, in quanto è il tramite con l’ultraterreno e di conseguenza appare come l’esecutore di rituali collettivi finalizzati a celebrare ed evocare qualcosa di ignoto e sovrannaturale, ma allo stesso tempo assume il ruolo di custode della memoria storica di una specifica società. Il concetto di sacerdote, nel corso dei secoli, si è evoluto sempre di più da tutti quegli elementi che potessero in qualche modo associarlo alla figura di mago, fino a renderlo un “semplice” intermediario tra gli uomini e gli dèi.
Lo stregone pone le sue fondamenta sulla convinzione che il cosmo sia un tutto e il suo obbiettivo, solitamente, è quello di controllare e condizionare il destino, nel bene o nel male.
Infine, gli sciamani che, così come gli stregoni, sono visti con diffidenza e scetticismo se non addirittura paura. Proprio su questo elemento verte, invece, una differenza sostanziale, in quanto l’attività dello sciamano non è mai volta ad intenti malvagi, ma finalizzata al benessere della comunità di cui fa parte.
Lo sciamanesimo non è una religione e non ha un sistema di credenze proprio, ma è un insieme di attività volta a trovare l’equilibrio tra corpo, mente e spirito, in cui il rapporto con il sovrannaturale si evidenzia nel momento in cui lo sciamano entra in uno stato di trance, al fine di comunicare con gli spiriti.
Da quanto si apprende dalle fonti letterarie della mitologia nordica, lo sciamo non era solo una figura spirituale e di guaritore, ma era anche colui che traghettava le anime dei defunti nell’aldilà.
Una sua caratteristica era lo shapeshifting, cioè la capacità di tramutarsi in altri esseri, spesso animali, assumendone non solo i caratteri estetici, ma anche le caratteristiche comportamentali. Secondo le credenze dell’epoca, i guerrieri indossavano le pelli animali convinti di riuscire, in questo modo, a cambiare volto alla propria anima e di conseguenza la propria energia vitale in quella di un animale.
Lo shapeshifting, dunque, provocava una vera e propria fusione dell’anima dell’essere umano con quella dell’animale e allo stesso tempo quella della terra con lo spirito, sviluppando la massima compenetrazione tra uomo e natura.
Tra le pratiche magiche riportate nelle fonti letterarie, le più note sono il Galdr, incantesimi recitati tramite canti o anche invocazioni delle Rune; il Gandr, una pratica considerata malvagia al punto che in alcune narrazioni della mitologia nordica viene associato a mostri o animali terrificanti; l’Útiseta, una sorta di meditazione finalizzati a mettersi in contatto con altri mondi, che consisteva all’aperto, spesso su tumuli cenerari oppure in montagna o lungo un torrente.
Infine, il Seiðr, una pratica antichissima di origine sciamanica: secondo Snorri Sturluson, tale pratica fonda le sue origini mitologiche nella Yinlinga Saga.
Il Seiðr, nell’ambito delle esperienze mistiche, pone la massima attenzione sul concetto di divinazione: gli sciamani norreni operavano al fine di poter comunicare con gli spiriti per poter ottenere una conoscenza altrimenti inaccessibile.
Durante la pratica del Seiðr, la cerimonia si svolgeva attraverso canti ritenuti magici, su una piattaforma issata ad un’altezza notevole, che stava a simboleggiare l’avvicinarsi al cielo. Il rito veniva celebrato tramite un intenso uso di tamburi, producendo un suono marziale, dal ritmo ossessivo, finalizzato a produrre uno stato di trance mentale che portava lo sciamano a stabilire un legame con entità sovrannaturali.
Nella cerimonia del Seiðr aveva un ruolo molto importante anche la simbologia animale, in particolare la figura del corvo. Secondo il folklore nordico, questo animale ha un legame stretto con la magia, rappresenta la preveggenza ed è considerato un animale guida in grado di proteggere e donare la piena conoscenza della magia in un percorso di crescita spirituale.
Religione e sciamanesimo nelle regioni artiche
Nell’antichità, la magia, la divinazione e le pratiche sciamaniche sono stati temi che hanno fatto da trait d’union tra i popoli norreni e le vicine popolazioni Sami, stanziate nella regione della Fennoscandia, compresa tra la Scandinavia, la penisola di Kola (nell’odierna Russia) e il bassopiano finno-coreliano, tra la Finlandia sud-orientale e la Carelia, antica regione baltica.
Nel caso dei Sami, a differenza delle altre popolazioni nordiche, non si può parlare di vera a propria religione, o quantomeno non secondo la concezione moderna del termine. Si tratta piuttosto di credenze che si manifestavano tramite riti, sacrifici e preghiere, fondate su un sistema culturale a cavallo tra folklore e mitologia, strettamente connesse al culto della natura e all’ambiente artico, dove avevano sviluppato le loro comunità.
Nell’antichità, la magia, la divinazione e le pratiche sciamaniche sono stati temi che hanno fatto da trait d’union tra i popoli norreni e le vicine popolazioni Sami, stanziate nella regione della Fennoscandia, compresa tra la Scandinavia, la penisola di Kola (nell’odierna Russia) e il bassopiano finno-coreliano, tra la Finlandia sud-orientale e la Carelia, antica regione baltica.
Nel caso dei Sami, a differenza delle altre popolazioni nordiche, non si può parlare di vera a propria religione, o quantomeno non secondo la concezione moderna del termine. Si tratta piuttosto di credenze che si manifestavano tramite riti, sacrifici e preghiere, fondate su un sistema culturale a cavallo tra folklore e mitologia, strettamente connesse al culto della natura e all’ambiente artico, dove avevano sviluppato le loro comunità.
Analogamente ai Norreni, i Sami avevano un approccio politeista, in quanto veneravano una serie di divinità, ma allo stesso tempo il loro culto era intriso anche di principi tipici delle religioni animiste, secondo le cui credenze montagne, rocce, alberi e altri elementi della natura potevano avere un’anima. I Sami consideravano le divinità entità spirituali, non trascendenti, quindi presenti non solo in un mondo di spiriti, ma anche nella quotidianità, in oggetti di uso comune e soprattutto in luoghi sacri legati alla natura.
Un’altra correlazione con i culti religiosi norreni riguarda la figura dello sciamano. Per i Sami, il noaide (sciamano) era colui che aveva la capacità di costituire un legame tra il mondo dei vivi e quello dei morti, nonché tra le forze naturali e quelle sovrannaturali.
I noaidi non acquisivano il ruolo di sciamano per via ereditaria o per status sociale della famiglia di provenienza, ma venivano sottoposti ad un rito di iniziazione, intraprendendo un percorso di apprendimento durante il quale venivano affiancati da altri sciamani già iniziati ed esperti di pratiche magiche.
Quando la religione sfociava nella magia ecco che emergono parecchie analogie e differenze tra i popoli norreni e i Sami. Un esempio può essere la pratica norrena del Seiðr paragonabile al rituale sciamanico dei Sami che induceva il noaide in uno stato di trance. Questa alterazione dello stato cosciente era comune a molti popoli dell’antichità e poteva essere raggiunga in modi differenti a seconda del culturale in cui si sviluppavano queste credenze. Nonostante il rituale scandivano si articolasse in una cerimonia più complessa rispetto a quello dei Sami, in entrambi i casi gli elementi su cui poggiavano i riti di trascendenza erano profondamente legati alla musica, la danza e soprattutto all’utilizzo di alcuni strumenti archetipi come il tamburo.
Altra importanti similitudini tra Norreni e Sami si trovano nel rapporto con la natura e con gli animali. Nel primo caso gli entrambi sciamani entravano in meditazione per creare un legame con la natura al fine di poterne apprendere i poteri curativi. Per quanto riguarda il rapporto con gli animali, nella cultura norrena gli sciamani (così come i guerrieri Berserkir e Úlfheðnar) indossavano le pelli animali per mutare la propria anima e assumere l’energia vitale dell’animale; i Sami, invece, arrivavano a venerarli, fino a creare veri e propri culti come nel caso di orsi e renne.
Queste analogie tra la cultura norrena e quella dei Sami sono avvalorate da ritrovamenti di tombe, i cui approfondimenti archeologici hanno dimostrato come questi popoli si sono influenzati reciprocamente condizionando il proprio percorso evolutivo.
Altra importanti similitudini tra Norreni e Sami si trovano nel rapporto con la natura e con gli animali. Nel primo caso gli entrambi sciamani entravano in meditazione per creare un legame con la natura al fine di poterne apprendere i poteri curativi. Per quanto riguarda il rapporto con gli animali, nella cultura norrena gli sciamani (così come i guerrieri Berserkir e Úlfheðnar) indossavano le pelli animali per mutare la propria anima e assumere l’energia vitale dell’animale; i Sami, invece, arrivavano a venerarli, fino a creare veri e propri culti come nel caso di orsi e renne.
Queste analogie tra la cultura norrena e quella dei Sami sono avvalorate da ritrovamenti di tombe, i cui approfondimenti archeologici hanno dimostrato come questi popoli si sono influenzati reciprocamente condizionando il proprio percorso evolutivo.
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Gianna Chiesa Isnardi • Storia e cultura della Scandinavia • Ed. Bompiani, 2015
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Publio Cornelio Tacito • Gemania (De origine et situ germanorum) • Ed. Aurora Boreale, 2021
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Jean Renaud • I Vichinghi - Guerrieri, esploratori, predoni: la grande storia degli uomini del nord • Giunti Editore 2024
Simone Barcelli • Il retaggio perduto dei Vichinghi, quando i norreni conquistarono il mondo • Edizioni CDL, 2019
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Giorgio Dolfini • Edda • Adelphi Edizioni, 2024
Fulvio Ferrari • Le saghe nordiche • Meltemi Editore, 2022
Snorri Sturluson • La Saga degli Yngling • Vidofnir 14, 2016
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Gianna Chiesa Isnardi • I miti nordici • Ed. Longanesi, 2022
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Eleonora Zaupa • L’antica magia norrena • Ed. Psiche 2, 2020
Norak Odal, Lothar Kaun • Seiðr, Viaggio tra magia e storia degli antichi norreni e reciproche influenze con lo sciamanesimo Sami • Ed. Psiche 2, 2022
Norak Odal, Lothar Kaun • Galdrastafir – Il canto magico delle antiche formule d’Islanda • Ed. Psiche 2, 2021
Norak Odal, Lothar Kaun • Galdrastafir – Misteri e sussurri degli antichi grimori islandesi • Ed. Psiche 2, 2022
Daniele Beatrici, Ornella Mirabile • Galdrastafir – Le magiche doghe islandesi nella tradizione popolare italiana • Luglio Editore, 2020
Mathias Nordvig • Ásatrú, la via spirituale delle antiche culture nordiche • Ed. Armenia, 2021