FLASHBACK
Tra presente e passato
DRIVE IN, tra satira e comicità
Lo spettacolo del Drive In può essere considerato il primo vero e proprio varietà televisivo in cui comicità e satira si fondono in un unico ensemble. diventano due facce della stessa medaglia. Il suo debutto, il 4 ottobre 1983, vede alla regia Giancarlo Nicotra e, successivamente, Beppe Recchia, mentre il padre ideatore è Antonio Ricci.
Drive In è stato un programma che ha portato sullo schermo tante novità, tra personaggi surreali, una satira politico-sociale sferzante che non si ritrae davanti a nulla e nessuno, un linguaggio decisamente giovane ma mai volgare e, soprattutto, un procedere estremamente veloce ed incalzante, fino ad allora sconosciuto alla televisione italiana.
La satira colpiva tutti e tutto, personaggi politici indipendentemente dall’area di appartenenza, società civile in piena “americanizzazione”, consumismo ogni giorno sempre più trionfante, rampantismo che all’epoca si rispecchiava nell’yuppismo d’oltreoceano, mondo della comunicazione, personaggio dello show-business e tanto altro.
Il Drive In è stato uno spettacolo che non aveva nulla del classico varietà televisivo, tanto che non si svolge in un teatro, ma in un ricostruito cinema all’aperto con un maxischermo davanti un grande spiazzo per le automobili, una biglietteria e un bar con tanti tavoli, parte di un arredo per le gag dei diversi protagonisti, il tutto condito da un decoro molto luminoso ed allegro.
Il programma, inizialmente, sarebbe dovuto durare qualche settimana, ma andò avanti per 5 anni, fino al 1988, totalizzando 131 puntate che trovavano la loro linfa vitale nel divenire dei fatti nel quotidiano.
Drive In è stato un programma che ha portato sullo schermo tante novità, tra personaggi surreali, una satira politico-sociale sferzante che non si ritrae davanti a nulla e nessuno, un linguaggio decisamente giovane ma mai volgare e, soprattutto, un procedere estremamente veloce ed incalzante, fino ad allora sconosciuto alla televisione italiana.
La satira colpiva tutti e tutto, personaggi politici indipendentemente dall’area di appartenenza, società civile in piena “americanizzazione”, consumismo ogni giorno sempre più trionfante, rampantismo che all’epoca si rispecchiava nell’yuppismo d’oltreoceano, mondo della comunicazione, personaggio dello show-business e tanto altro.
Il Drive In è stato uno spettacolo che non aveva nulla del classico varietà televisivo, tanto che non si svolge in un teatro, ma in un ricostruito cinema all’aperto con un maxischermo davanti un grande spiazzo per le automobili, una biglietteria e un bar con tanti tavoli, parte di un arredo per le gag dei diversi protagonisti, il tutto condito da un decoro molto luminoso ed allegro.
Il programma, inizialmente, sarebbe dovuto durare qualche settimana, ma andò avanti per 5 anni, fino al 1988, totalizzando 131 puntate che trovavano la loro linfa vitale nel divenire dei fatti nel quotidiano.
LIVE AID
Musica e impegno sociale
Fin dalle sue origini, la musica ha sempre interpretato il duplice ruolo da un lato puro intrattenimento e dall’altro espressione di una controcultura impegnata sul fronte di tematiche delicate e da risvolti sociali che spesso hanno trasceso in ideologie politiche. Tra gli esempi più importanti, è da ricordare sicuramente, l’impegno sociale di artisti provenienti dal mondo della musica durante la Guerra del Vietnam.
A differenza del passato, gli anni 80 sono stati l’epoca in cui vengono messe da parte le rivoluzioni utopistiche e si passa ad azioni concrete, tramite raccolte fondi e iniziative di benedicenza.
Già nel 1982, Peter Gabriel aveva promosso l’iniziativa del festival World Of Music, Art and Dance per il Terzo Mondo e nel 1984, nel Regno Unito è stato realizzato il brano Do they know it’s Christmas accreditato alla Band Aid.
Agli inizi dell’anno seguente, nel 1985, è stata la volta di We are the world, brano accreditato al supergruppo Usa for Africa, negli Stati Uniti. Entrambi realizzati, anche in questo caso, con la partecipazione di numerosi big e artisti della scena musicale del momento.
Sulla sica anche del successo di questi brani, il 13 luglio 1985 fu realizzato il Live Aid, uno degli episodi più importanti in assoluto, in cui si è espresso al meglio l’impegno sociale nel mondo della musica.
L’evento è stato realizzato in contemporanea tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna e sui rispettivi palchi dallo Stadio Wembley di Londra e dal JFK di Philadelphia, si sono alternati i nomi più illustri del rock e del pop.
L’evento ha avuto un impatto mediatico straordinario ed è stato seguito in diretta tv da oltre un miliardo di persone, consacrando la tv come il più popolare strumento di comunicazione anche per la musica.
A differenza del passato, gli anni 80 sono stati l’epoca in cui vengono messe da parte le rivoluzioni utopistiche e si passa ad azioni concrete, tramite raccolte fondi e iniziative di benedicenza.
Già nel 1982, Peter Gabriel aveva promosso l’iniziativa del festival World Of Music, Art and Dance per il Terzo Mondo e nel 1984, nel Regno Unito è stato realizzato il brano Do they know it’s Christmas accreditato alla Band Aid.
Agli inizi dell’anno seguente, nel 1985, è stata la volta di We are the world, brano accreditato al supergruppo Usa for Africa, negli Stati Uniti. Entrambi realizzati, anche in questo caso, con la partecipazione di numerosi big e artisti della scena musicale del momento.
Sulla sica anche del successo di questi brani, il 13 luglio 1985 fu realizzato il Live Aid, uno degli episodi più importanti in assoluto, in cui si è espresso al meglio l’impegno sociale nel mondo della musica.
L’evento è stato realizzato in contemporanea tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna e sui rispettivi palchi dallo Stadio Wembley di Londra e dal JFK di Philadelphia, si sono alternati i nomi più illustri del rock e del pop.
L’evento ha avuto un impatto mediatico straordinario ed è stato seguito in diretta tv da oltre un miliardo di persone, consacrando la tv come il più popolare strumento di comunicazione anche per la musica.
Goldrake, 1975-2025... l'avventura continua
Goldrake, 1975-2025... l'avventura continua

Quello dei “super robot” o, come vengono a volte definiti “robottoni”, è stato dei generi più significati degli anime giapponesi arrivati in Italia a partire dalla seconda metà degli anni settanta.
Nel 1975 fu realizzato un film, mediometraggio, dal titolo Uchū Enban Daisensō, arrivato in Italia come “La grande battaglia dei dischi volanti”. Originariamente il film fu pensato da alcuni autori della Tōei Dōga con caratteristiche tali da renderlo in qualche modo una sorta di progetto pilota per la serie che venne successivamente sviluppata in Ufo Robot Grendizer.
Il film ebbe un riscontro molto positivo da parte del pubblico e ciò indusse la casa produttrice Tōei Dōga a chiedere un maggior coinvolgimento di Gō Nagai al fine di rivedere gli aspetti grafici e migliorarne la struttura narrativa della nuova serie di Goldrake.
Nel 1975 fu realizzato un film, mediometraggio, dal titolo Uchū Enban Daisensō, arrivato in Italia come “La grande battaglia dei dischi volanti”. Originariamente il film fu pensato da alcuni autori della Tōei Dōga con caratteristiche tali da renderlo in qualche modo una sorta di progetto pilota per la serie che venne successivamente sviluppata in Ufo Robot Grendizer.
Il film ebbe un riscontro molto positivo da parte del pubblico e ciò indusse la casa produttrice Tōei Dōga a chiedere un maggior coinvolgimento di Gō Nagai al fine di rivedere gli aspetti grafici e migliorarne la struttura narrativa della nuova serie di Goldrake.
La serie di Ufo Robot Grendizer, che in Italia fu rinominata Atlas Ufo Robot, a causa di un errore di traduzione dal prodotto acquistato dal mercato francese, presenta un contesto narrativo che la colloca a chiusura della trilogia iniziata con Mazinger Z e Great Mazinger. Il trait d’union tra questo ultimo capitolo e le due serie precedenti è costituito dalla figura di Koji Kabuto (qui Alcor), anche se con alcuni distinguo. Nella prima serie Koji era il protagonista che alla guida del Mazinger Z difendeva la Terra dalle minacce del Dottor Hell; nella seconda serie compare solo come ospite nell’ultima puntata, in aiuto del Great Mazinger; per tutta la serie di Ufo Robot Grendizer ha un ruolo comprimario, di supporto al protagonista Duke Fleed (Actarus). In questo caso, inoltre, cambia la struttura narrativa della storia, in quanto l'eroe, difensore della Terra dall’invasione aliena, è un altro extraterrestre, esule dal suo pianeta natio.
Altri elementi di continuità tra le serie, presenti in Ufo robot Grendizer, si trovano nei flashback di Koji/Alcor durante il primo episodio, quando ricorda le battaglie alla guida di Mazinger Z e la puntata quattordici, esplicitamente intitolata Il ritorno di Boss Robot, con alcuni personaggi delle serie dei due Mazinger.
La serie di Ufo Robot Grendizer fu trasmessa per la prima volta in Italia dalla Rai, il 4 aprile 1978. In successo ottenuto determinò una presa di coscienza sul fatto che in Giappone esistesse una folta produzione di anime di elevata qualità, tale da indurre alcune case cinematografiche ad importare lungometraggi e mediometraggi nipponici pensativi direttamente per il cinema.
Tra le molteplici produzioni nipponiche, furono acquisiti i diritti di alcuni film della Tōei, considerati estremamente innovativi per l’epoca. Tra i titoli di maggior rilievo: Mazinga Z contro Devilman; Mazinga Z contro il Generale Nero; Il Grande Mazinga contro Getta Robot; Il Grande Mazinga contro Getta Robot G - Violento scontro nei cieli; Goldrake contro il Grande Mazinga; Goldrake, Il Grande Mazinga e Getta Robot G contro il Dragosauro.
Tra il 1978 e il 1980, queste pellicole furono riadattate per il mercato italiano tramite nuovi montaggi, trasformando i mediometraggi originali, in tre lungometraggi: Mazinga contro gli Ufo Robot; gli Ufo Robot contro gli invasori spaziali; una nuova versione di Mazinga contro Goldrake, oltre a tre film che riprendevano nello specifico la serie di Ufo Robot Grendizer: Goldrake all’attacco - La più grande avventura di Ufo Robot; Goldrake l’invincibile; Goldrake addio!
Tra le molteplici produzioni nipponiche, furono acquisiti i diritti di alcuni film della Tōei, considerati estremamente innovativi per l’epoca. Tra i titoli di maggior rilievo: Mazinga Z contro Devilman; Mazinga Z contro il Generale Nero; Il Grande Mazinga contro Getta Robot; Il Grande Mazinga contro Getta Robot G - Violento scontro nei cieli; Goldrake contro il Grande Mazinga; Goldrake, Il Grande Mazinga e Getta Robot G contro il Dragosauro.
Tra il 1978 e il 1980, queste pellicole furono riadattate per il mercato italiano tramite nuovi montaggi, trasformando i mediometraggi originali, in tre lungometraggi: Mazinga contro gli Ufo Robot; gli Ufo Robot contro gli invasori spaziali; una nuova versione di Mazinga contro Goldrake, oltre a tre film che riprendevano nello specifico la serie di Ufo Robot Grendizer: Goldrake all’attacco - La più grande avventura di Ufo Robot; Goldrake l’invincibile; Goldrake addio!
Il 5 agosto 2023 è stato ufficializzato il progetto Grendizer U presso l’Akiba Daisuki Festival di Tokyo, quale risultato dell’accordo tra società produttrici di fumetti, animazione e videogiochi, dal Giappone e dall’Arabia Saudita.
La presentazione di questo nuovo anime, teso a rilanciare lo storico Ufo Robot Grendizer, non si è limitata al semplice annuncio, ma ha avuto il supporto di un trailer, prodotto come un breve filmato, che ha introdotto una nuova narrazione e una nuova caratterizzazione dei personaggi, prerogative di un reboot (quale è effettivamente Grendizer U) e non di un remake.
La nuova veste grafica, che richiama lo stile e il tratto di Neon Genesis Evangelion, accompagnata da una riscrittura della storia dell’anime, si abbina in maniera molto appropriata all’estetica dei vari personaggi, esaltandone i nuovi tratti psicologici.
Tra le novità inserite in questo nuovo anime, spicca la presenza di Mazinger Z a valorizzare la figura di Koji/Alcor e a ricondurre il Grendizer come episodio conclusivo della trilogia dei Mazinga.
Di Grendizer U non si sa ancora esattamente di quante puntate è composto. In Italia, la prima stagione è stata trasmessa su uno dei canali Rai, a partire dal 6 gennaio 2025, ma non si hanno ancora notizie circa l’eventuale messa in onda della seconda stagione. Scopri di più
La presentazione di questo nuovo anime, teso a rilanciare lo storico Ufo Robot Grendizer, non si è limitata al semplice annuncio, ma ha avuto il supporto di un trailer, prodotto come un breve filmato, che ha introdotto una nuova narrazione e una nuova caratterizzazione dei personaggi, prerogative di un reboot (quale è effettivamente Grendizer U) e non di un remake.
La nuova veste grafica, che richiama lo stile e il tratto di Neon Genesis Evangelion, accompagnata da una riscrittura della storia dell’anime, si abbina in maniera molto appropriata all’estetica dei vari personaggi, esaltandone i nuovi tratti psicologici.
Tra le novità inserite in questo nuovo anime, spicca la presenza di Mazinger Z a valorizzare la figura di Koji/Alcor e a ricondurre il Grendizer come episodio conclusivo della trilogia dei Mazinga.
Di Grendizer U non si sa ancora esattamente di quante puntate è composto. In Italia, la prima stagione è stata trasmessa su uno dei canali Rai, a partire dal 6 gennaio 2025, ma non si hanno ancora notizie circa l’eventuale messa in onda della seconda stagione. Scopri di più
Testimonianze del punk e della new wave inglese
Seppur di non facile reperibilità, esistono numerosi filmati, documentari o pellicole vere e proprie che ripercorrono quel che è stata la stagione del punk e della successiva new wave e dell’impatto che hanno avuto non solo in ambito musicale, ma anche nel mondo dell’arte a più ampio raggio.
La prima pellicola che racconta la scena inglese del 1976/77 è stato Punk rock movie, documentario che ha aperto una trilogia realizzata da Don Letts, storico dj del Roxy Club, seguita da The Clash: westway to the world, dedicata alla storica band londinese e conclusa con Punk: attitude del 2005, in cui l’attenzione si allarga sulla scena hardcore.
Per quanto riguarda il fenomeno punk delle origini, altri celebri documentari sono The great rock ‘n’ roll swindle e The filth & the fury entrambi di Julien Temple, Punk in London del regista tedesco Wolfgang Buld e ambientato nel contesto amaricano, il reportage di Penelope Spheeris, The decline of western civilization.
Oltre alla musica, anche la grafica e il design sono state discipline artistiche di fondamentale importanza per l’impatto mediatico e pubblicitario del punk e della new wave.
Una delle immagini più iconiche resta quella della Regina Elisabetta utilizzata per il singolo di God Save the Queen da Jamie Reid, le cui provocazioni in grafica sono continuate con l’immagine della Union Flag strappata, utilizzata per il singolo di Anarchy in the U.K. e i manifesti pubblicitari per la promozione del documentario The great rock ‘n’ roll swindle.
La prima pellicola che racconta la scena inglese del 1976/77 è stato Punk rock movie, documentario che ha aperto una trilogia realizzata da Don Letts, storico dj del Roxy Club, seguita da The Clash: westway to the world, dedicata alla storica band londinese e conclusa con Punk: attitude del 2005, in cui l’attenzione si allarga sulla scena hardcore.
Per quanto riguarda il fenomeno punk delle origini, altri celebri documentari sono The great rock ‘n’ roll swindle e The filth & the fury entrambi di Julien Temple, Punk in London del regista tedesco Wolfgang Buld e ambientato nel contesto amaricano, il reportage di Penelope Spheeris, The decline of western civilization.
Oltre alla musica, anche la grafica e il design sono state discipline artistiche di fondamentale importanza per l’impatto mediatico e pubblicitario del punk e della new wave.
Una delle immagini più iconiche resta quella della Regina Elisabetta utilizzata per il singolo di God Save the Queen da Jamie Reid, le cui provocazioni in grafica sono continuate con l’immagine della Union Flag strappata, utilizzata per il singolo di Anarchy in the U.K. e i manifesti pubblicitari per la promozione del documentario The great rock ‘n’ roll swindle.

Nel 2002 è stato realizzato il film 24 Hour Party People, incentrato sulla scena musicale di Manchester che, a partire da Joy Division e Buzzcocks, nel giro di pochi anni diviene un importante punto di riferimento per il brit rock grazie a band come Charlatans, Happy Mondays, New Order (dalle ceneri proprio dei Joy Division) e Stone Roses.
Impossibile parlare della scena “Madchester” senza accendere un faro su un personaggio chiave come Tony Wilson, cosa che 24 Hour Party People fa puntualmente.
Tony Wilson, già proprietario della Factory Records, ha consolidato il suo ruolo nella scena musicale di Manchester per via della collaborazione con il produttore Martin Hannett e la fondazione del Fac 51 Haçienda, storico locale aperto nel 1982, che ha rappresentato il club di riferimento per il brit rock e il postpunk di quegli anni.
Impossibile parlare della scena “Madchester” senza accendere un faro su un personaggio chiave come Tony Wilson, cosa che 24 Hour Party People fa puntualmente.
Tony Wilson, già proprietario della Factory Records, ha consolidato il suo ruolo nella scena musicale di Manchester per via della collaborazione con il produttore Martin Hannett e la fondazione del Fac 51 Haçienda, storico locale aperto nel 1982, che ha rappresentato il club di riferimento per il brit rock e il postpunk di quegli anni.
CROLLO NERVOSO, la New Wave italiana

È il 1977 quando durante il programma televisivo Odeon, tutto quanto fa spettacolo, viene mandato in onda un servizio che racconta il nuovo trend proveniente da Londra: il punk viene sdoganato anche in Italia.
La prima città in cui si è generata una sorta di micro-scena locale è stata Milano, città che ha dato i natali a band storiche come Gags, Mittageisen, Kandeggina, Faust’O (anche se originario di Pordenone) ma soprattutto i Decibel di Enrico Ruggeri che, dopo un paio di dischi con i suoi compagni, ha proseguito la carriera solita, inizialmente orientata verso le sonorità new wave dell’epoca, maggiormente contaminate dall’elettronica.
Un’altra band tra le più rappresentative della new wave italiana sono stati i Krisma, della coppia Maurizio Arceri, già famoso come cantante dei New Dada durante la stagione del beat degli anni Sessanta, e Christina Moser.
Da Milano la new wave italiana si è successivamente allargata a tante altre realtà locali che hanno visto nascere numerose band, anche se spesso sono rimaste confinate in una dimensione underground come i Dirty Actions di Genova, gli Elektroshock di Roma, i Rats della provincia di Modena, i Great Complotto di Pordenone, i Gaznevada di Bologna, i Neon di Firenze, gli Undergorund Life di Monza...
Durante gli anni Ottanta, sulla scia di quanto accade nella madrepatria Inghilterra, anche in Italia la scena punk delle origini si apre alle nuove sonorità cedendo il passo alle sperimentazioni della new wave e alle contaminazioni del postpunk, creando un sottobosco ricchissimo di band con stili molto variegati. Le sonorità si fanno più ricercate, a tratti più sofisticate e tra i nuovi artisti che si affacciano sul mercato musicale, spiccano Garbo, il cui stile decadente rimanda agli inglesi Ultravox e Japan, i piacentini Not Moving e Atrox, in equilibrio tra rock n’ roll e punk i primi, più inclini alle sperimentazioni i secondi, e tra i nomi ancora in attività, i Diaframma, più vicini alle sonorità postpunk della scena di Manchester, soprattutto con i primi tre dischi, realizzati con Miro Sassolini alla voce.
Nel 2009 è stato realizzato il documentario Crollo Nervoso, La new wave italiana degli anni 80, che attraverso filmati inediti e interviste ai protagonisti dell’epoca, ripercorre le storie e le avventure musicali che hanno fatto la storia dell’underground italiano degli anni Ottanta.
Il documentario è stato suddiviso in tre parti: le prime due Onde Emiliane e Firenze Sogna, dedicate ai contesti locali come si può facilmente dedurre dai titoli, mentre la terza parte Italia Wiva è un approfondimento della scena italiana più in generale. Oltre alle band citate precedentemente, il documentario riporta alla memoria numerose band icone della new wave, tra cui Litfiba, Kirlian Camera, Pankow, Neon, alcune delle quali attive ancora oggi.
La prima città in cui si è generata una sorta di micro-scena locale è stata Milano, città che ha dato i natali a band storiche come Gags, Mittageisen, Kandeggina, Faust’O (anche se originario di Pordenone) ma soprattutto i Decibel di Enrico Ruggeri che, dopo un paio di dischi con i suoi compagni, ha proseguito la carriera solita, inizialmente orientata verso le sonorità new wave dell’epoca, maggiormente contaminate dall’elettronica.
Un’altra band tra le più rappresentative della new wave italiana sono stati i Krisma, della coppia Maurizio Arceri, già famoso come cantante dei New Dada durante la stagione del beat degli anni Sessanta, e Christina Moser.
Da Milano la new wave italiana si è successivamente allargata a tante altre realtà locali che hanno visto nascere numerose band, anche se spesso sono rimaste confinate in una dimensione underground come i Dirty Actions di Genova, gli Elektroshock di Roma, i Rats della provincia di Modena, i Great Complotto di Pordenone, i Gaznevada di Bologna, i Neon di Firenze, gli Undergorund Life di Monza...
Durante gli anni Ottanta, sulla scia di quanto accade nella madrepatria Inghilterra, anche in Italia la scena punk delle origini si apre alle nuove sonorità cedendo il passo alle sperimentazioni della new wave e alle contaminazioni del postpunk, creando un sottobosco ricchissimo di band con stili molto variegati. Le sonorità si fanno più ricercate, a tratti più sofisticate e tra i nuovi artisti che si affacciano sul mercato musicale, spiccano Garbo, il cui stile decadente rimanda agli inglesi Ultravox e Japan, i piacentini Not Moving e Atrox, in equilibrio tra rock n’ roll e punk i primi, più inclini alle sperimentazioni i secondi, e tra i nomi ancora in attività, i Diaframma, più vicini alle sonorità postpunk della scena di Manchester, soprattutto con i primi tre dischi, realizzati con Miro Sassolini alla voce.
Nel 2009 è stato realizzato il documentario Crollo Nervoso, La new wave italiana degli anni 80, che attraverso filmati inediti e interviste ai protagonisti dell’epoca, ripercorre le storie e le avventure musicali che hanno fatto la storia dell’underground italiano degli anni Ottanta.
Il documentario è stato suddiviso in tre parti: le prime due Onde Emiliane e Firenze Sogna, dedicate ai contesti locali come si può facilmente dedurre dai titoli, mentre la terza parte Italia Wiva è un approfondimento della scena italiana più in generale. Oltre alle band citate precedentemente, il documentario riporta alla memoria numerose band icone della new wave, tra cui Litfiba, Kirlian Camera, Pankow, Neon, alcune delle quali attive ancora oggi.
Il Cimitero di Staglieno nell'iconografia dark
Quello di Staglieno, situato nella Val Bisagno, a Genova, è uno dei maggiori cimiteri monumentali d’Europa. Un meraviglioso museo a cielo aperto che ospita le tombe di molti personaggi celebri, tra cui Fabrizio De André, Edoardo Sanguineti, nonché uno dei patri della patria italiana, Giuseppe Mazzini.
A rendere famoso il cimitero, nel mondo musicale, sono però due scatti del fotografo francese Bernard Pierre Wolff, utilizzati per due celebri copertine dei dischi dei Joy Division: la tomba della famiglia Appiani è stata immortalata per la cover di Closer, mentre un particolare della tomba della famiglia Ribaudo caratterizza l’artwork della copertina del 12” di Love Will Tears Us Apart.
A rendere famoso il cimitero, nel mondo musicale, sono però due scatti del fotografo francese Bernard Pierre Wolff, utilizzati per due celebri copertine dei dischi dei Joy Division: la tomba della famiglia Appiani è stata immortalata per la cover di Closer, mentre un particolare della tomba della famiglia Ribaudo caratterizza l’artwork della copertina del 12” di Love Will Tears Us Apart.
The Rockets, gli alieni invadono l’Italia
Quando la Rai trasmette il Pesaro Summer Show 1977 – prima volta in cui i cinque giovanotti colorati d’argento si esibiscono in Italia – la Rocketsmania sta per esplodere.
Il definitivo lancio della band francese (che canta in inglese) arriva pochi mesi dopo, con il live al Teatro Lirico di Milano, ma le controversie non mancano.
In pieni anni di piombo, l’electro-disco robotica dei Rockets diventa bersaglio del movimento di contestazione giovanile che, contro il pagamento dei biglietti per vedere i concerti dal vivo, irrompe spesso con il lancio di oggetti di ogni tipo sul palco, mandando all’aria gli spettacoli, come accadde al Palazzetto dello Sport di Roma, nel novembre 1978. Eppure, irrefrenabile, la giovane band d’oltralpe è di frequente tra i protagonisti della nostra TV di Stato.
Ospiti fissi della trasmissione Stryx, durante l’autunno 1978, nella veste di “Cosmodiavoli”, i Rockets nell’aprile del 1979, presentarono a Discoring il brano Electric Delight. Sempre nella prima del 1979, presso la discoteca Altro Mondo di Riccione, a causa delle loro coreografie pirotecniche ci furono alcuni feriti e la stampa non esitò a criticare la band per le loro performance ritenute pericolose.
L’attrazione per il “pericolo” e per l’elettronica da dancefloor non farà fermare i fan italiani, tanto che dopo l’esibizione nell’Arena di Verona per la XVI edizione del Festivalbar, nel 1980 vincono il Telegatto come “Migliore artista straniero”.
Il definitivo lancio della band francese (che canta in inglese) arriva pochi mesi dopo, con il live al Teatro Lirico di Milano, ma le controversie non mancano.
In pieni anni di piombo, l’electro-disco robotica dei Rockets diventa bersaglio del movimento di contestazione giovanile che, contro il pagamento dei biglietti per vedere i concerti dal vivo, irrompe spesso con il lancio di oggetti di ogni tipo sul palco, mandando all’aria gli spettacoli, come accadde al Palazzetto dello Sport di Roma, nel novembre 1978. Eppure, irrefrenabile, la giovane band d’oltralpe è di frequente tra i protagonisti della nostra TV di Stato.
Ospiti fissi della trasmissione Stryx, durante l’autunno 1978, nella veste di “Cosmodiavoli”, i Rockets nell’aprile del 1979, presentarono a Discoring il brano Electric Delight. Sempre nella prima del 1979, presso la discoteca Altro Mondo di Riccione, a causa delle loro coreografie pirotecniche ci furono alcuni feriti e la stampa non esitò a criticare la band per le loro performance ritenute pericolose.
L’attrazione per il “pericolo” e per l’elettronica da dancefloor non farà fermare i fan italiani, tanto che dopo l’esibizione nell’Arena di Verona per la XVI edizione del Festivalbar, nel 1980 vincono il Telegatto come “Migliore artista straniero”.
Grunge, quando la musica va oltre una semplice etichetta

Il termine Grunge deriva da uno slang americano, grungy, per indicare sporco, sudicio.
Seppur non ci siano fonti certe, si attribuisce la paternità del termina a Mark Arm, vocalist dei Green River, la band dal cui scioglimento nacquero i Mudhoney (ancora Mark Arm come frontman) e i Mother Love Bone che a loro volta lasceranno il posto ai Pearl Jam, a seguito della prematura scomparsa del loro cantante Andrew Wood, nel 1990.
Si dice che Mark Arm abbia usato il termine grunge in una lettera inviata ad una fanzine di Seattle, per descrivere la band in cui militava nei primi anni 80.
In termini più marcatamente commerciali, il Grunge troverà una nuova connotazione soprattutto agli inizi del decennio successivo, per indicare un genere musicale a cavallo tra hard rock, punk e metal.
Una divertente commedia uscita nel 1992, del regista Cameron Crowe, che vede protagonisti Bridget Fonda e Matt Dillon.
Il film fotografa la realtà locale di Seattle, proprio negli anni d’oro del grunge e vede alcuni cameo di Chris Cornell e la partecipazione di alcuni membri dei Pearl Jam, nei panni della rock band Citizen Dick.
Seppur non ci siano fonti certe, si attribuisce la paternità del termina a Mark Arm, vocalist dei Green River, la band dal cui scioglimento nacquero i Mudhoney (ancora Mark Arm come frontman) e i Mother Love Bone che a loro volta lasceranno il posto ai Pearl Jam, a seguito della prematura scomparsa del loro cantante Andrew Wood, nel 1990.
Si dice che Mark Arm abbia usato il termine grunge in una lettera inviata ad una fanzine di Seattle, per descrivere la band in cui militava nei primi anni 80.
In termini più marcatamente commerciali, il Grunge troverà una nuova connotazione soprattutto agli inizi del decennio successivo, per indicare un genere musicale a cavallo tra hard rock, punk e metal.
Una divertente commedia uscita nel 1992, del regista Cameron Crowe, che vede protagonisti Bridget Fonda e Matt Dillon.
Il film fotografa la realtà locale di Seattle, proprio negli anni d’oro del grunge e vede alcuni cameo di Chris Cornell e la partecipazione di alcuni membri dei Pearl Jam, nei panni della rock band Citizen Dick.
Video estratto dal film "Singles, l'amore è un gioco"
La vera chicca per gli appassionati del genere è l’esibizione degli Alice in Chains in un club della città (probabilmente il Rckndy o l’Ok Hotel) durante la quale intrattengono il pubblico con Would? e It Ain’t Like That, quest’ultima presente sono nella rimasterizzazione in blu ray del film, metre è stata tagliata nella versione dvd.
Tra le numerose pubblicazioni di libri sul “Seattle sound”, tra i più interessanti è da menzionare sicuramente “Grunge is dead, storia orale del Grunge” di Greg Prato, arricchito dalle prefazioni di Massimo Padalino e Luca Moccafighe. Si tratta di un libro che ripercorre, attraverso spezzoni di interviste e dichiarazioni dei protagonisti di quella scena musicale, le vicende che hanno accompagnato la scena rock di Seattle dagli anni Ottanta alla sua parabola discendente a metà del decennio successivo, con un ampio capitolo introduttivo in cui si descrive il contesto sociale degli anni Sessanta e Settanta.
Una nota particolare meritano le interviste particolarmente toccanti rilasciate da Nancy Layne McCallum, madre del compianto Layne Thomas Staley, storico frontman degli Alice In Chains.
Tra le numerose pubblicazioni di libri sul “Seattle sound”, tra i più interessanti è da menzionare sicuramente “Grunge is dead, storia orale del Grunge” di Greg Prato, arricchito dalle prefazioni di Massimo Padalino e Luca Moccafighe. Si tratta di un libro che ripercorre, attraverso spezzoni di interviste e dichiarazioni dei protagonisti di quella scena musicale, le vicende che hanno accompagnato la scena rock di Seattle dagli anni Ottanta alla sua parabola discendente a metà del decennio successivo, con un ampio capitolo introduttivo in cui si descrive il contesto sociale degli anni Sessanta e Settanta.
Una nota particolare meritano le interviste particolarmente toccanti rilasciate da Nancy Layne McCallum, madre del compianto Layne Thomas Staley, storico frontman degli Alice In Chains.